Ognuno accanto alla sua notte. Lia Levi racconta l’iniquità delle leggi razziali del 1938

Marialuisa Bianchi

25/01/2024

Si resta sgomenti di fronte alla miopia e alle amnesie. Triste dover pensare che la storia non abbia insegnato niente. Ad ogni modo, ancora fiduciosa che non possa vincere sempre l’odio, e ho presente la guerra in Medioriente, per il Giorno della Memoria ho scelto il romanzo di Lia Levi dal titolo così evocativo “Ognuno accanto alla sua notte” (E/O Edizioni). Un tema caro all’autrice, per averlo vissuto in prima persona, quello delle leggi razziali e del complicato rapporto all’interno della comunità ebraica romana durante il periodo. Perché molti degli stessi ebrei hanno preferito minimizzare quello che appariva con chiarezza una esplicita minaccia alla loro sopravvivenza? Ma davvero il Vaticano all'epoca pensava di autoassolversi dal silenzio vergognoso messo in atto?  Questi e altri interrogativi che l’autrice pone al lettore, oltre all’eterno dissidio fra “I sommersi e i salvati” di Primo Levi e in questo caso complicato da un ulteriore segreto che uno dei protagonisti porterà con sé per rivelarlo solo in punto di morte al figlio.
 
Dunque l’autrice, che dichiara di voler raccontare solo quello che si conosce in prima persona e non quello che si è orecchiato (per questo evita di parlare dei lager), ci narra dell’iniquità delle leggi razziali che colpirono gli ebrei italiani nel 1938, privandoli di tutti i diritti, cacciandoli dalle scuole, dalle università, dai luoghi pubblici, fino a vietargli il possesso di macchine fotografiche e apparecchi radio con più di 5 valvole. L’autrice narra la solitudine, la disperazione degli ebrei romani. Storie di bambini, amori che si intrecciano, dolore ma anche solidarietà. Una scrittura elegante e ironica. Insomma, sicuramente un romanzo che ci arricchisce e che consiglio di leggere.
 
Centrale nei tre racconti è il momento della raccolta dell’oro, cinquanta chili, che i tedeschi richiesero per negoziare la salvezza degli ebrei romani. Come tutti sappiamo inutile sacrificio, riportato anche nei romanzi precedenti. Nel libro “La parola Ebreo”  di Rosetta Loy, a cui mi viene naturale accostarlo non ci sono ebrei a raccontare la propria storia, non testimonianze di sopravvissuti, la prospettiva si capovolge e la realtà viene osservata e raccontata dal punto di vista di chi ha assistito come spettatore alle deportazioni, di chi forse poteva fare qualcosa e non l’ha fatto, per paura, per quieto vivere, per un fondo di avversione verso coloro che sono considerati diversi (ieri erano gli ebrei, oggi altri situazioni di emarginazione).

Nel romanzo di Lia Levi ovviamente tutto è narrato dall’interno della comunità. Tre storie, come ho anticipato, che si intrecciano, personaggi che si ritrovano a raccontarsi in una villa fuori Roma con un’interlocutrice dal nome particolare, Fiammetta.  Non è difficile riconoscere il Decamerone di Boccaccio come spunto narrativo. Su, dopotutto siamo una “onesta brigata” con ottime intenzioni. Come è possibile che un commediografo di successo, si trovi a seguire un proprio lavoro in un teatro, in incognito nascosto in un angolo del loggione? E come riusciranno a vivere il loro amore i due quindicenni Colomba e Ferruccio, lei ebrea e lui figlio di un gerarca fascista?  Un capovolgimento della vita per colpa di un autobus? Con un padre ebreo tutto è più intricato, dice Gisella. Infine, un tragico dilemma: la classe dirigente ebraica di quegli anni è forse colpevole di aver sottovalutato il pericolo? E se è un figlio ad accusare di questa inadeguatezza il proprio padre?
 
Un padre che soffre per colpa tua è molto peggio. Ti trova senza risposta, ti svuota di energia. È tutta colpa del loro essere ebrei. Quella fissazione per lo studio non ha mai preso in considerazione il termine “impossibile”, neanche se ci si trova nel profondo di un pozzo. Suo padre la scuola l’aveva persa per le Leggi del fascismo. Lo avevano cacciato dal ginnasio e lui, per punire il destino, aveva ostinatamente rifiutato di iscriversi alla scuola ebraica. Adesso quando sussurrava all’orecchio di suo figlio: «Studia! Studia!» era come se stesse urlando: «SCUOLA! SCUOLA!» con una specie di golosità da eterno affamato.
 
Tre vicende diverse se pur collegate in cui le vite si intrecciano fra segreti e complicità, desiderio di riscatto e assuefazione al dolore che ogni giorno diventa sempre più tollerabile e quindi manca la forza di reagire. Era un pensiero modesto, riduttivo, ma l’essere umano è fatto così. A confronto con la nube carica di nero che ti schiaccia dall’alto, sono le piccole cose quotidiane a farci illudere di poter gestire la vita.
 
La persecuzione degli ebrei alle porte e la fine della guerra, che sembra vicina ma vicina non è, un libro doloroso e delicato che ci fa sentire rabbia ma anche ansia e tenerezza. Per l’amicizia le cose vanno come per l’amore: se non ci lavori sopra giorno dopo giorno si sgretola, si fa polvere, e la polvere, anche se la mischi con l’acqua, non può diventare materiale da costruzione. Era stato il dolore a manifestarsi brevemente fra loro. E il dolore, si sa, è l’unica lingua che riesce a legare le persone, e attraverso il dolore il vento riporta le memorie. Ma spargere sul tavolo qualche suo frammento avrebbe aiutato te a ricostruirla e gli altri a capirti.
 
Giulio frugava dentro di sé. Il male, sì, il male è un unico blocco di pece nera. Ma il bene? È per la sua stessa, vitale natura che tende a frantumarsi in mille sfaccettature, finché le schegge diventano ostili l’una all’altra e precipitano anche loro in una pece molto simile a quella del nemico. Non solo dramma ebraico, ma il dramma di tutti: non è morto solo l’uomo, in quegli anni, ma l’idea di cosa è un uomo. Nella crosta terrestre si è appena aperto uno squarcio. Il mondo non potrà mai più essere riparato, dopo quella ferita. Lo sentono, lo sanno già. Ma quell’attimo se lo sono ancora regalati. In fila per le scale già l’aveva improvvisato, il suo stornello: Credi che chi c’ha l’oro sia ’n signore. L’oro pe’ me nun conta, conta er còre. Leone pensa a quell’altro anello consegnatogli da uno sconosciuto adolescente, e si commuove.
 
E poi accanto alla notte, Lia levi ci fa intravedere i geni della luce. I partigiani e le persone che solidarizzano o che hanno voglia di vivere attaccandosi con le unghie e con i denti, come chi è sopravvissuto ai lager. Una scrittura elegante, con una precisione sintetica, come ha insegnato Calvino, con la giusta ironia che alleggerisce alcuni momenti tragici (Era un fascista pigro e aveva lasciato perdere… un laico assatanato è un mangiapreti. Anzi, un mangiarabbini), perché come suggerisce l’autrice l’ironia è una garanzia di libertà.
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Marialuisa Bianchi

Marialuisa Bianchi

Molisana d’origine, si è laureata in storia medievale a Firenze, dove vive. Ha insegnato Italiano e Storia nelle scuole superiori. Ha appena pubblicato per i tipi di Mandragora Storia di Firenze. La preziosa eredità dell’ultima principessa Medici che ha reso grande il destino della città. Precedentemente il romanzo storico Ekaterina, una schiava russa nella Firenze dei Medici e, nel 2021, La promessa di Ekaterina (edizioni End). Ha esordito con un libro...

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