“Oggi mamma stende tanti panni in giardino e canta”. La frase che leggiamo nelle prime righe del libro di Mirko Zilahy “Nostra signora delle nuvole” (HarperCollins) potrebbe già considerarsi una dichiarazione di poetica, il diapason su cui l’autore chiede il nostro unisono. E non è difficile accordarsi con l’universalità di quel sentimento che ha mosso la scrittura del libro e che si chiama amore materno. A raccontare questa storia di affetti e fantasticherie è Mirko, che ha sette anni e sette nomi. Perché i nomi, come gli ha insegnato sua madre, sono importanti: definiscono persone e cose, fanno sì che esistano, che entrino nell’animo dei singoli e del mondo intero. Dietro a ogni nome è racchiusa una vicenda esistenziale. Mirko è fortunato ad avere avuto una madre che di nomi gliene ha donati sette. Tanti da avere molteplici storie, destini, sentimenti; così che “dentro di te ci sono tante vite tutte insieme”. Magari una per ciascuna stagione della vita. Mamma Annarita è favolosa. Nel vero senso del termine, poiché ha inventato per Mirko un universo fiabesco, raccontato con una lingua altrettanto magica, giocosa, evocante: “con mamma tutto è uno scherzo e una cosa seria insieme, e devo stare attento a capire da che parte va l’accento della sua voce e la faccia per capire se devo ridere o essere triste”. Con lei tutto diviene una storia. È un modo per esorcizzare la precarietà della vita, per proteggere il figlio dalla realtà, che sappiamo bene quali crudezze e disincanti possa somministrare. Lo saprà anche Mirko, che cresce e sperimenta le verità dell’esistere. L’ostinata risacca della vita dissolverà il castello in cui è vissuto, ma non la signora (la signora delle nuvole) che quel castello aveva edificato con amorevole brio e dissimulata ansia. Il romanzo di Mirko Zilahy – notizia di questi giorni – partecipa alla prima selezione del Premio Strega 2024. Torna in mente che nel 1978 vinse l’ambito premio Ferdinando Camon con “Un altare per la madre”, intenso romanzo autobiografico dove si racconta di una madre che muore e di una famiglia teneramente impegnata a mantenerne viva per sempre la memoria. Chissà.
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Non posso mica saperlo, ma il pomeriggio che mamma mi spiega la teoria dei nomi manca esattamente un mese al giorno in cui la mia giovane vita cambierà per sempre.
Lei ha una storia per tutto e usa tante parole bellissime che io non conosco per raccontarmi di eroi, di numeri e di lucertole. Oggi c’è quella dei nomi, e anche se mi piace me ne sto immerso in una nuvola di schiuma nella vasca e non la sto tanto a sentire. Invece chiacchiero con un insettino che si affaccia tra due piastrelle nell’angolo dove teniamo le boccette degli shampoo.
Mentre mamma parla io bisbiglio con la punta del naso lì vicino, dai vieni fuori che ti ho visto. Dietro di me lei muove la montagna bianca con le mani in cerca della mia schiena. Mi raggiunge, mi afferra e strofina forte mentre metto una bella manciata di bolle sulla fessura per scoprire che succede.
Vediamo un po’, Mirko, mi interroga, a che servono i nomi? Rispondo distratto, per chiamare le cose? Eh no! I nomi servono per possedere le cose. Questo mi incuriosisce e mi volto. Ci ragiono tra le bolle di sapone, ma non sono sicuro di aver capito. Pensa a Adamo, lui che fa? Io non lo so perché nella scuola dove andavo non si fa religione ed è nonna Paola che mi ha spiegato la faccenda della mela. Adamo dà un nome a ogni animale, a ogni pianta, a ogni pietra e così lo definisce, mamma fa un cerchio con le mani davanti al viso e poi lo chiude, lo controlla. Se conosci il nome delle cose, quelle ti appartengono. E se è vero? Allora penso forte alla maglia della Roma con la testa della lupa che ha Marco, il bambino che abita sopra di noi, e muovo le labbra senza dirlo: ma-gliet-ta-del-la-Ro-ma-ma-gliet-ta-del-la-Ro-ma.
Io ti chiamo e tu mi rispondi, qualunque cosa tu stia facendo ti fermi e ti giri e aspetti, è come un superpotere, no? Sembra soddisfatta. A me piace l’Uomo Ragno che ha i sensi di ragno però le ragnatele se le fa da solo. Ma allora tu mi possiedi?
Si rimbocca le maniche della camicetta turchese e fa quel sorriso grande come quando mi dice non ti preoccupare che tanto c’è mamma: i nomi servono per possedere le cose e indirizzano la personalità, sono una specie di programma di vita. Mi vede dubbioso e incalza, adesso ripetiamoli, dice tra due colpi di tosse, gli occhi stretti contro il fumo della Muratti magicamente aggrappata alle labbra. Fuma le Muratti quando è ricca e le MS quando dobbiamo stare attenti. E mi canta la canzone di un signore coi capelli bianchi che ho visto alla televisione che si chiama De Sica. Ma lei la cambia tutta, come fa con tutte le canzoni e con le favole, e fa ridere. Con la voce da uomo sposta il braccio in avanti e canta: Mamma, mormora il mio bambino, mentre, pieno di pianto agli occhi… Mamma, tu compri soltanto Muratti per te! Ridiamo e mi spiega che quelli della canzone sono i giocattoli. E allora ripenso a Pinocchio nel Paese dei Balocchi e capisco un sacco di cose.
In ordine, insiste mamma.
Faccio di sì, ma prima sbircio il mio piccolo esperimento tra shampoo e saponi e attacco.
Mirko, Aldo, Ugo, Valerio, Riccardo, Angelo, Maria, recito forte e scandito.
Bene, fa la voce dietro di me. L’ordine è importante, Mirko. I nomi raccontano la storia delle persone che li portano. Questi nomi raccontano la mia? Mmm-mmm, ha la faccia tutta sudata. Ma nessuno che conosco ha sette nomi, mamma. Appunto, risponde tutta felice. Ci penso. Li hai scelti tutti tu? Certo, e chi sennò?, apre l’acqua e con il telefono della doccia inizia a sciacquarmi.
Oggi facciamo il bagno anche se non è domenica perché dobbiamo andare dal dottore dei bambini che mi guarda bene per capire se sto meglio con le fialette di ferro che prendo e tutto quel fegato che mangio e speriamo che non mi infila il bastoncino piatto in fondo alla lingua che già gli ho vomitato sulle scarpe. Ci andiamo due volte al mese e lui si chiama dottor Livadiotti e mamma canta la canzoncina con la rima Livadiotti aggiusta i pupi rotti. Ha gli occhiali con gli occhi piccolissimi, ma quando li toglie tornano normali. Allora come va questo ometto?, chiede ogni volta e ogni volta io mi guardo intorno. Con chi parla? Ma tanto lo so che è sempre la stessa storia. Non mangio e ho il sangue povero. Tutte le volte mamma mostra le mie analisi e fa, mi sembra che sia rientrato nella norma. Il dottore risponde, vediamo, poi mi gira e mi rigira, mi ascolta la schiena e mi illumina gli occhi e alla fine dice: potrebbero essere le adenoidi. Tutte le volte. E mamma lo paga pure, anche se almeno mi dà due lecca lecca e papà sta per diventare medico e allora dopo me le fa lui le analisi ma io non voglio perché mi fanno paura le punture e pure papà, certe volte.
Sono confuso. Tu già la sai la mia storia?, le domando.
Provo a immaginarla, Mirko. Perché nessuno può sapere la storia di nessuno prima che accada, ma possiamo imprimere una direzione a partire dal nome. È la stessa parola della dottoressa in tv, penso veloce. Il significato dei tuoi nomi è un’eredità che porterai per sempre con te e che darà una direzione alla tua vita.
Mi sento barcollare come quando andavo in primina e scendevo le scale colla cartella piena di roba. Ma perché sette?, protesto.
Perché tu abbia più possibilità. Insiste, è più bello vivere tante vite che solo una, no? Scrollo le spalle e due fiocchi di schiuma volano giù, ma io ho appena iniziato questa di vita, penso. Puoi farlo in tanti modi, aggiunge, viaggiando, conoscendo posti e persone diverse, leggendo tanti libri, mi strizza l’occhio perché io leggo ancora lento e solo con lei, di sera o la domenica. Ma dentro di te ci sono tante vite tutte insieme. Mamma si scosta e tira un’altra boccata dalla sigaretta, e per un attimo le sue dita belle sono due gambe di donna all’incontrario, ti ho messo tanti nomi per darti più storie possibili.
Una per ogni nome?, mi illumino. Anche di più, bagna la spugna e mi pulisce gli occhi. Mi alzo in piedi nella vasca in attesa dell’accappatoio blu. Sono tutto nudo ma non mi vergogno come a scuola quando ci mandano al gabinetto.
In ogni nome c’è un destino, la voce è morbida di fumo e nello specchio appannato mi vedo più bianco di quanto mi fa il mio sangue ungherese, gli zigomi come spigoli e le lentiggini, mamma le chiama efelidi, il mento uno spicchio di luna all’ingiù.
L’ho già sentito. Cos’è il destino? È un filo immateriale che ci accompagna tutta la vita. Poi dice, shh, vediamo se sai la storia dei tuoi nomi. Posa la cicca sul bordo della vasca e tira fuori il pollice per contare. Forza, Mirko, è facile, lo sai.
[da Nostra signora delle nuvole di Mirko Zilahy, HarperCollins, 2023]
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