Nicola Bolaffi e l’armonia degli opposti

Luigi Oliveto

27/07/2017

Il romanzo d’esordio di Nicola Bolaffi, “La sottile armonia degli opposti”, incanta per la sua forza letteraria, così bene amministrata tra il racconto della cruda realtà, la fiaba, a tratti la poesia. Storia in parallelo di due giovani esistenze che per un attimo si incontreranno, un breve istante che sembrerà infinito. I protagonisti sono due bambini, Otto e Greta, ai quali, in maniera diversa, mancano i genitori. Otto ha una mamma perduta nella sua malattia, che la fa stare tutto il giorno a letto, completamente al buio; e lui vorrebbe tanto strapparle un sorriso. Il padre è molto occupato con il lavoro, condivide con lui soltanto il tempo che, la mattina, occorre per andare da casa a scuola. Lungo quel tratto di strada gli racconta delle favole e ad Otto le favole piacciono tantissimo. Greta non ha mai conosciuto il padre; la madre, tutta presa dal lavoro, non riesce a darle affetto e sicurezza. Ecco dunque due ragazzi, due solitudini, due storie simili. Hanno in comune il coraggio, la voglia di reagire, la forza di affrontare la realtà nella speranza che, come nelle favole, accada qualcosa di impossibile. La fantasia, i sentimenti, la volontà aiutano. Due anime alla deriva che, sfiorandosi, scoprono come due metà possano fondersi in un tutto. E dentro di loro qualcosa cambia davvero.
 
 
 
Da piccolo mi chiamarono subito Otto, anche se all’anagrafe venni registrato come Riccardo. Papà diceva perché i primi disegni che facevo erano cosparsi di otto in tutte le direzioni, mamma perché sono nato alle otto dell’otto ottobre. Anche su questo punto non sono mai andati d’accordo, ma fa lo stesso, a me Otto piace, molto più di Riccardo.
 
Otto, nato con un taglio cesareo, nella casa in campagna, già all’ottavo giorno fece prendere uno spavento tremendo. Ancora inconsapevole della realtà, lentamente si dissanguava. Una circoncisione mal effettuata era scivolare nella perdita dei sensi, scendere nell’oblio. Da grande avrebbe spesso sognato di trovarsi in pericolo, di urlare, ma di non riuscire a farsi sentire. Fortuna volle che Maria, la tata che non manca mai nelle buone famiglie, si alzasse di soprassalto, si domandasse perché il bambino quella notte non avesse ancora pianto, andasse a controllarlo e vedesse all’esterno dei pannolini un alone rosato, segnale d’allarme. La corsa all’ospedale, per ricucire, ricomporre, rimettere in moto quel bambino che stava già per naufragare. Salvezza all’ultimo istante, passante vincente sul match point per l’avversario. Morfeo fu benevolo, avrebbe potuto cullare Maria ancora per qualche minuto e di Otto si sarebbe serbato solo un amaro ricordo, ma Morfeo era d’accordo col Fato. A posteriori si potrebbe dire che quell’annaspare tra il buio e la luce avrebbe accompagnato i passi di Otto nel corso del suo cammino. Il buio nel volgere degli anni sarebbe apparso sotto le sembianze del sonno, dell’impossibilità di amare. Il sottile confine che separa la vita dalla morte sarebbe stato per lui un abito consueto, una giacca da sempre indossata. La luce sarebbe stata d’altro canto di pari potenza, un’attrazione fortissima, la sensazione di un’occasione irripetibile. La luce come l’aprire gli occhi al giorno, come il dissiparsi delle distanze, come l’ebbrezza di lasciarsi cullare dalla fantasia, come la sensazione appagante e unica di abbracciare un affetto. Nelle variegate onde dell’esistere Otto fu un remo caduto in acqua. La sfida assegnatagli appena scagliato nel mondo dei pianti e delle risate fu ben contraddistinta sin dall’inizio.
Greta, suo papà volato in cielo prima che lei fosse in grado di pronunciare il suo nome. Mamma Ines si ritrovò sola con la bambina, senza parenti a darle una mano. Per quell’uomo aveva lasciato il Sud e il suo passato. Non si poteva tornare indietro, riavvolgere il nastro del tempo e ponderare le scelte alla luce dei fatti. La vita è rischio, non sapere cosa accadrà domani. Greta aveva gli occhi come coralli e i coralli stanno ancorati alle rocce, sono troppo preziosi per vagabondare, ma non vedere più quelle mani forti che la cullavano e la portavano in alto per poi scaldarla di baci fu perdere le radici della propria sicurezza, e senza saperlo Greta si staccò dal fondale. Quando l’asilo terminava, Greta andava dai Longoni, i vicini di casa. Gentili, disponibili, anziani. E attendeva il ritorno della madre. I Longoni si preoccupavano che Greta non avesse fame, che non avesse la febbre, che non avesse dimenticato di fare qualcosa per l’indomani. Protettivi, attenti, le volevano bene. Greta coi capelli mossi, rossi, fragile, silenziosa. La domenica Ines la portava al parco dove c’erano l’altalena e gli scivoli. Quel giorno era sempre il più atteso della settimana. Finalmente poteva stare con sua madre. Greta sentiva che Ines era distante. Una mamma dovrebbe avvolgerti di calore, accarezzarti di sorrisi, manifestarti la bellezza dell’essere vivi. Ines era una donna pratica, si impegnava perché la realtà fosse sotto controllo, ma non bastava. Con Greta avrebbe dovuto condividere emozioni, abbracciarla qualche volta, ma per Ines era compito improbo crescere una figlia da sola, e l’ultima settimana del mese bisognava anche arrabbiarsi col salvadanaio. Lo stipendio in fabbrica non era sufficiente. Allora aumentava gli straordinari e il sabato faceva la cameriera da un suo conoscente. Si infilava il grembiule, prendeva le ordinazioni e serviva ai tavoli fino a notte fonda. Restava solo la domenica per stare con Greta, ma era tale la spossatezza che Ines portava sempre gli occhiali da sole, per non far notare le borse scure. Greta si era abituata a ottenere approvazione non con uno sguardo d’intesa, ma con stanchi cenni del capo. Se la panchina su cui Ines sedeva avesse potuto parlare, le avrebbe consigliato di correre da sua figlia, di giocare, di non lasciarla sempre sola, perché i segni dell’infanzia sono una traccia. E una bimba senza padre è già come una barca senza vela.
 
[da La sottile armonia degli opposti di Nicola Bolaffi, Garzanti, 2017]
 
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Luigi Oliveto

Luigi Oliveto

Giornalista, scrittore, saggista. Inizia giovanissimo l’attività pubblicistica su giornali e riviste scrivendo di letteratura, musica, tradizioni popolari. Filoni di interesse su cui, nel corso degli anni, pubblica numerosi libri tra cui: La grazia del dubbio (1990), La festa difficile (2001), Siena d’autore. Guida letteraria della città e delle sue terre (2004), Giosuè Carducci. Una vita da poeta (2011), Giovanni Pascoli. Il poeta delle cose (2012), Il giornale della domenica. Scritti brevi su libri, vita, passioni e altre inezie (2013), Il racconto del vivere. Luoghi, cose e persone nella Toscana di Carlo Cassola (2017). Cura la ristampa del libro di Luigi Sbaragli Claudio Tolomei. Umanista senese del Cinquecento (2016) ed è co-curatore dei volumi dedicati a Mario Luzi: Mi guarda Siena (2002) Toscana Mater (2004),...

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