08/01/2013
Ce l’hanno fatta in tempi ragionevoli. Le carte dell’archivio di Fabrizio De André, depositate nel 2003 dalla Fondazione che porta il nome del famoso cantautore presso l’Università di Siena, dove è attivo il Centro interdipartimentale di studi intitolato al popolarissimo genovese, sono ora rigorosamente inventariate e si offrono a quanti desiderino consultarle come materiale insostituibile, pieno di segreti e sorprese. Per rendersi conto del fervido laboratorio dal quale nacquero alcuni dei motivi che hanno segnato in Italia la storia della canzone, intrecciandosi con sensibilità diffusamente coltivate e animando miriadi di incontri, l’archivio è un piccolo ordinato paradiso: aiuterà a capire procedure creative e predilezioni stilistiche di Faber – il nomignolo glielo affibbiò Paolo Villaggio – più di ogni altro documento. Esercizio piacevole che addestrerà in quella filologia dei sentimenti tanto rara nelle aule universitarie. Si sa l’entusiasmo che De André ha suscitato fin da quando è comparso sulla scena, all’alba degli anni Settanta – La ballata del Michè – incarnando una versione della figura del cantautore di singolare calibratura.
Il cantautore - Il neologismo cantautore apparve la prima volta nel 1960 sulla copertina di un disco: chi lo coniò non pensò certo di arricchire il vocabolario di un lemma destinato a enorme risonanza. L’immedesimazione tra autore delle parole ed esecuzione strumentale marcava un ruolo che sembrava così sottratto alla macchina industriale perché capace di conferire un’individuabile soggettività a chi fino allora era considerato interprete di testi altrui. E i volti e la gestualità dei cantautori manifestarono da subito un’intenzione di originalità che staccava la loro produzione da quelle dei pezzi più consumabili di musica leggera.
Archivio d’autore - Su questi aspetti fa luce l’ampia e puntualissima introduzione di Stefano Moscadelli, che con Marta Fabbrini ha curato l’operazione (Archivio d’Autore: le carte di Fabrizio De André”, Ministero per i beni e le attività culturali, Roma 2012) non limitandosi a compiti di stretta competenza specialistica. La denominazione “archivio d’autore” definisce una realtà che reclama criteri specifici, da modulare secondo esigenze di volta in volta commisurate al modo di lavorare, costruire e sperimentare di chi quell’insieme di carte ha accumulato affidando loro tracce e fasi di una linea inventiva, frammenti di memoria, appunti presi al volo, intuizioni degne di futuri sviluppi. Nel caso De André sono sopravvissute alcune centinaia di fascicoli, per la maggior parte contenenti abbozzi portati a vari livelli di definizione. “In particolare questo genere di materiali – precisa Fabbrini – si riferisce soprattutto alla realizzazione degli album Le Nuvole (1990) e Anime salve (1996). Una quota consistente riguarda la preparazione di tournée e concerti. Scarsi o gli scambi epistolari, anche se non mancano alcune testimonianze di contatti con altri artisti, scrittori e poeti, fra i quali spicca Mario Luzi”.
Un tesoro ritrovato - La cospicua sezione dei materiali di studio e di lavoro è quella che più si presta ad assaggi e verifiche. Non mancano gli appunti presi in vista di esami sostenuti di malavoglia nel corso delle non concluse peregrinazioni universitarie di Fabrizio (tappa finale giurisprudenza): vi si leggono di tanto in tanto, vergati a lapis, spunti che attestano l’assillo di piacevoli e incontrollabili divagazioni. Nelle note stese alla vigilia della prova di diritto romano ecco trascritta La fin des vacances di Boris Vian. I fogli diventano improvvisamente spartiti. Nell’agendina che registra una prima versione di Bocca di rosa ci s’imbatte in una sfilza di recapiti telefonici, tra i quali quello di Mina Mazzini, contrassegnato da una nota: quasi un amichevole tatuaggio. Il foglio che contiene Le passanti è diviso in due colonne: nella prima si legge l’omonimo testo di Brassens. Vi sono riflessioni politiche a iosa, talvolta ricavate da ritagli di quotidiani: Razzismo strisciante nazismo di provincia, La favola di Fidel Castro, Italiani vi conosco ’92 di Gilles Martinet. Dal “Giornale” ritaglia un articolo intitolato Formica e le cicale, probabilmente colpito dall’assonanza di un riferimento al ministro socialista Rino Formica con un duetto comicamente esopico. Spunta perfino una citazione di Rosa Luxemburg: “La libertà è sempre la libertà / di chi la pensa in un altro modo”. Vi è percepibile uno sguardo di matrice neorealistica attento al patetico del quotidiano. La vena anarchica è temperata, addolcita. L’idillio mischia avveduta grazia e tristi inflessioni. La ribellione è detta con garbo. L’aconfessionale religiosità si acuisce durante i mesi dolorosi del sequestro in Sardegna, nell’agosto 1979. Si scorrono con commozione i documenti relativi alla drammatica avventura della quale il cantautore e la moglie Dori Ghezzi furono vittime: alcune lettere stilate da Fabrizio sotto dettatura danno indicazioni al padre sulle modalità di pagamento del riscatto.
Faber il poeta - La statura di De André rifiuta toni enfatici. Fernanda Pivano, spinta dall’entusiasmo, lo proclamò una volta “il più grande poeta italiano degli ultimi cento anni”, in altra occasione “il più grande poeta in assoluto degli ultimi cinquant’anni”. Gli autografi delle ballate di questo onesto nostrano Bob Dylan si trovano a loro agio nella città dell’irriverente Cecco. “Ho sempre avuto – confessò con passione – chiodi fissi: l’ansia di giustizia e la convinzione, presuntuosa, di poter cambiare il mondo: oggi quest’ultima è caduta”. Ma il suo intimismo non diventava rassegnata resa. Odiava l’improvvisazione: teneva sul leggìo pure i testi del discorsivo che cuciva la canzoni. E le domande delle interviste richieste dai giornalisti le pretendeva scritte, in modo da poter rispondere senza fretta e fornendo sempre, osserva Moscadelli, “elementi di una consapevole rappresentazione di se stesso”. “Il materiale affidatoci – aggiunge – era in stato di notevole confusione e quindi è stato indispensabile schedarlo analiticamente per ogni singolo foglio, sì da ricostituire ogni unità nella sua fisionomia originaria”. Ha preso gradualmente corpo un ritratto che presenta un De André preoccupato di ogni particolare, pignolo artigiano accorto nel limare ogni passaggio. Ora quest’archivio, finalmente strutturato secondo le buone regole, consentirà di seguire complessi e affascinanti percorsi autoriali dietro la ribalta: momenti genetici e folgoranti illuminazioni, rapide stesure e progetti abbandonati, estro creativo e meticolosità organizzativa, libera ispirazione e ostinato mestiere. Che in De André, genovese di antica tempra, andavano d’accordo, come per incanto.
Articolo pubblicato su “Il Corriere Fiorentino” dell’8 gennaio 2013 (pag. 13)
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