Molto molto tanto bene. Una storia d’amore e di libertà

Luigi Oliveto

07/08/2024

Già nel 2022, con il libro reportage “Mediterraneo”, Caterina Bonvicini aveva raccontato cosa accada realmente sulle navi umanitarie in soccorso dei migranti, che tipo di scelta sia quella di navigare in quel mare infinito per salvare vite. Un mare dove “la vita la cerchi, la perdi o la trovi, e questa riduzione all’essenziale è potentissima”. Ora Bonvicini è tornata sul tema con “Molto molto tanto bene” (Einaudi), romanzo autobiografico, scaturito da una storia vera nata su una nave Ong. Il titolo, non proprio a rigore di grammatica, è l’espressione tenerissima che una bambina ivoriana di cinque anni, Amy, imparerà a dire a Caterina (l’autrice), a colei che durante un difficile salvataggio a trenta miglia a nord di Zawiya – piena notte, mare agitato, il gommone stipato di migranti che imbarcava acqua – per prima aveva incrociato il suo sorriso sotto un cappellino di strass illuminato dal faro di pattugliamento. Amy era sul gommone insieme alla giovanissima madre Chantal (22 anni), originari della Costa d’Avorio, provenienti dalla Libia. La mamma svenuta per la paura, Amy, seduta davanti a Caterina, accoglieva e ricambiava sorrisi. E’ l’inizio di un legame fortissimo tra salvatrice e salvate cui presto si aggiungerà anche il fratellino Bubà, rimasto in Libia con un’amica di Chantal, che fortunatamente potrà ricongiungersi alla famiglia. Una famiglia, appunto, che Caterina vorrebbe far diventare un tutt’uno con la propria. E questo prova a fare. Amy e Bubà sono sereni, ma Chantal si mostra chiusa in una impenetrabile inquietudine, frutto, chissà, di quali traumi, miraggi, dissesti di cuore e mente. Difficile capire cosa tormenti quella bella ragazza dal passato tanto breve quanto complicato: orfana, fuggita da un matrimonio combinato dagli zii con un uomo più grande di oltre trent’anni, madre giovanissima di due gemelli, poi decisa a mettere il destino suo e dei figli in mano a trafficanti di esseri umani. Adesso che potrebbe dirsi salva, nata a nuova vita, c’è una parte di lei che la rende contraddittoria, inspiegabile agli occhi altrui. Come se rifiutasse l’idea di essere salvata, o tanto meno salvata in quel modo, e dunque alla ricerca di non si sa cosa. Caterina deve prendere atto di un aspetto fondamentale del voler bene: amare implica la libertà della persona amata, lasciarla andare; magari per mari assai meno rassicuranti della terraferma dove viene facile rifugiare affetti. Dunque Chantal e i bambini partiranno nuovamente. Non si reciderà però il legame tra Caterina e le tre fragili creature venute dal mare. Un affetto che messaggi e videochiamate confermeranno, a prova di distanza e di sentimenti ormai indelebili. Ne è portavoce ufficiale la dolcissima Amy: «E ripete a raffica la sua parola italiana preferita: baci. Si appoggia le mani sulla bocca, picchiettando le labbra con le dita: baci, baci, baci. Spesso la saluto con un Ti voglio molto bene o Ti voglio tanto bene, e Amy fa due conti. Per aggiungere quantità, basta usare tutti gli aggettivi insieme.»
 
***
 
Tutti si alzano per riempire la tazza di caffè, mentre Ottavia collega il computer al maxi schermo. La pausa dura cinque minuti, poi si comincia a parlare di morte.
Annegamento. Compressione toracica. Ustioni da fuoco. Ustioni per la miscela di acqua di mare e benzina. Marcella sbadiglia. Fava invece sembra eccitato, non riesce a stare fermo, cambia continuamente posizione delle gambe, il busto chinato in avanti, le mani che sbattono sulle ginocchia. Ipotermia. Asfissia da esalazioni di carburante. Disidratazione. Infarto.
– Infarto? – chiede Minni, stupita.
– Sì, c’è chi muore di paura.
Annavì si alza e gli altri si voltano. Anche se lei è una veterana, alle riunioni deve partecipare come tutti.
– Scusate, non mi sento tanto bene.
Esce e chiude silenziosamente la porta. Ottavia scatta in piedi e la raggiunge. Le vediamo parlare attraverso il vetro. Poi si salutano e Annavì scompare nella sua cabina.
– Dove eravamo rimasti? – Ottavia fa un grande respiro.
Comincia a elencare i tipi di barche e a farci vedere le fotografie sullo schermo. Ma adesso parla come un automa. Gommoni. Piccole barche in vetroresina. Barchette di ferro. Grandi, grandissimi barconi di legno, da cinquecento o settecento persone.
Poi arriva l’ora di pranzo e tutti si precipitano verso il buffet. Del resto, sono in piedi dalle cinque di mattina, alle 11,30 hanno già fame. Ottavia è l’unica che non si mette in fila con un piatto in mano. Si avvicina a me.
– Sigaretta a prua? Ho bisogno di un consiglio.
Faccio cenno di sì e la seguo per le scale. Apriamo il boccaporto e un vento forte ci travolge.
– Mettiamoci dietro il raft se no ce la fuma tutta il maestrale.
A fatica, piegate sull’accendino, riusciamo a vedere una brace.
– Ho paura di fare un errore, Cate. Annavì è bravissima e io non voglio ferirla lasciandola sulla nave, ma stavolta non può scendere in acqua. Ci vuole molto equilibrio, come sai. E lei in questo momento non ne ha.
– Cosa le è successo?
– Hai presente quando abbiamo trovato quei due cadaveri che erano lì da giorni? Ecco, lei è salita sul gommone per prenderli. Si è alzato il vento in un attimo e noi non riuscivamo più a recuperarla. Quindi è rimasta su quel gommone per mezz’ora, sola con quei due corpi gonfi, nell’acqua piena di merda fino alle ginocchia.
– Oddio.
– Un’onda l’ha sbalzata, non è riuscita a stare in piedi. È caduta in quella melma, sopra ai cadaveri.
– Cristo.
– Ovviamente non è più salita a bordo per alcuni mesi. Ha cominciato a soffrire di attacchi di panico. Una volta l’hanno portata al pronto soccorso perché aveva i sintomi di un infarto.
– Sarei finita in ospedale anch’io, dopo una roba del genere.
– Tu conta che quel giorno è successa anche un’altra cosa, che ovviamente non abbiamo potuto raccontare. Quei due cadaveri erano pesantissimi, quindi per tirarli a bordo abbiamo usato la gru. A un certo punto, uno dei due ha strappato il sacco e dall’alto della nave è precipitato in mare. Noi abbiamo urlato, lei è svenuta.
– Un film dell’orrore.
– Abbastanza, sì. Ma tutti l’abbiamo superato, è solo la realtà. Lei no. Adesso è tornata, crede di essere di nuovo pronta. Ma non lo è. Anche prima quando si è sentita male, è andata in cabina a prendersi uno Xanax. Non posso mettere sul Rhib una persona che sta così, non posso. Può essere pericoloso.
– Diglielo.
– Gregorio non vuole. Io comando i soccorritori, ma lui comanda me. Però, capisci, alla fine la responsabilità di quello che succede in mare è mia e solo mia. Per questo, ho riflettuto a lungo sulle squadre.
– Annavì è insieme a Giovannino, puoi stare tranquilla.
– L’ho messa sul Rhib con lui apposta. Giovannino sarebbe in grado di fare da solo il rescue di un barcone da cinquecento persone. Anche di Marcella mi fido, in mare è svelta e concentrata. È pigra sul ponte, s’inventa qualsiasi malanno per saltare i suoi turni, ma è un altro discorso. Che mi dici del Fava?
– Non promette bene.
– Lo so. Ma non potevo mettere Minnì in quella situazione. Se entra nel panico e non riesce più a fare le manovre? La prima volta, preferisco tenerla con me. Per vedere come reagisce davanti a un naufragio. Posso dirti una cosa?
– Dimmi.
– Non sono sicura che mi piaccia davvero essere il capo.
 
[da Molto molto tanto bene di Caterina Bonvicini, Einaudi, 2024]
 
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Luigi Oliveto

Luigi Oliveto

Giornalista, scrittore, saggista. Inizia giovanissimo l’attività pubblicistica su giornali e riviste scrivendo di letteratura, musica, tradizioni popolari. Filoni di interesse su cui, nel corso degli anni, pubblica numerosi libri tra cui: La grazia del dubbio (1990), La festa difficile (2001), Siena d’autore. Guida letteraria della città e delle sue terre (2004), Giosuè Carducci. Una vita da poeta (2011), Giovanni Pascoli. Il poeta delle cose (2012), Il giornale della domenica. Scritti brevi su libri, vita, passioni e altre inezie (2013), Il racconto del vivere. Luoghi, cose e persone nella Toscana di Carlo Cassola (2017). Cura la ristampa del libro di Luigi Sbaragli Claudio Tolomei. Umanista senese del Cinquecento (2016) ed è co-curatore dei volumi dedicati a Mario Luzi: Mi guarda Siena (2002) Toscana Mater (2004),...

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