Michela Marzano: ricavare forza dalla fragilità

Luigi Oliveto

28/03/2019

Non c’è cosa più struggente che svuotare una casa in cui si sono annidati ricordi, oggetti, le stagioni di una vita. E’ ciò che si ritrova a dover fare Alessandra, personaggio e voce narrante dell’ultimo romanzo di Michela Marzano intitolato “Idda”.  Alessandra è una biologa, nativa del Salento, trasferita a Parigi dove vive insieme a Pierre. L’abitazione che deve sgomberare è quella di Annie, la madre di Pierre, la quale, colpita da demenza senile, è stata trasferita in una clinica specializzata. C’è dunque da aprire armadi, frugare cassetti, toccare oggetti che hanno segnato un’esistenza. Ed è inevitabile non chiedersi quale memoria contengano quelle cose, proprio ora che la persona cui appartengono sta perdendo memoria di sé e degli altri. Per Alessandra, così, l’iniziale curiosità si trasforma in un crescente affetto filiale verso l’anziana donna. Ma non solo. Questo entrare dentro la storia di una persona, porta la protagonista a riandare anche alla propria storia, alla terra delle sue radici, a certi dolorosi ricordi d’infanzia rimossi ma non cancellati (“il passato non passa mai, e la pace è sempre impastata di rimpianti e recriminazioni”). Proprio in forza dei sentimenti che le due vicende riverberano l’una sull’altra, Alessandra per nominare la madre di Pierre dice “idda”; fa ricorso al dialetto pugliese, alla lingua delle origini, dove “idda” sta per “lei”. Ecco, allora, che le due storie – per quanto diverse e sfalsate nel tempo – procedono in parallelo, talvolta sembrano assomigliarsi come in un gioco di specchi, alla fine trovano un punto di incontro. La fragilità di Annie salverà Alessandra: mossasi per aiutare, sarà lei ad essere aiutata.
 
***
 
L’avevo lasciato solo, inutile cercare scuse. Inutile anche illudermi di averlo fatto perché volevo che Pierre maturasse. Il motivo del mio disinteresse non era quello. La verità è che non volevo più riaprire il capitolo «genitori». Il mio l’avevo chiuso definitivamente quando vivevo ancora in Italia.
Avevo da poco compiuto ventitre anni e il mondo, all’improvviso, si era sbriciolato – quante volte avevo chiesto a mio padre di stare attento, le strade di campagna sono pericolose, papà, non c’è bisogno di correre, ti prego, e se avete un incidente? Ma lui nulla, presuntuoso, pensa agli affari tuoi, Alessandra, che cosa vuoi che succeda?
Invece era successo. E per mamma non c’era stato nulla da fare. Mio padre era rimasto tra la vita e la morte per qualche giorno, ma alla fine ne era uscito. Mamma no. Morta sul colpo.
Quattro anni prima dell’incidente ero andata a vivere a Firenze e mi ero iscritta alla facoltà di Agraria. Volevo capire quali fossero le tecniche di coltivazione adatte alla tutela dei sistemi agricoli, studiare le specie arbustive e arboree tipiche della mia regione, specializzarmi sugli ulivi e sulle viti. E poi tornare in Puglia, a occuparmi finalmente io delle terre di mio padre. Ma, una volta morta mamma, come facevo a tornare a casa? Era stato papà ad ammazzarla, non volevo più vederlo.
Niente più Firenze, niente più Agraria, niente più viti, niente più ulivi. Avevo sistemato in fretta e furia la roba di mamma ed ero sparita. Di papà si sarebbe occupata sua sorella, tanto non vedeva l’ora di tornare a vivere con lui. Potevano andarsene alla malora, di loro non mi importava niente.
Lontano. Volevo scappare lontano e non tornare più.
Così, nonostante l’insistenza di mio padre affinché restassi e trovassimo insieme un modo per andare avanti, alcuni mesi dopo l’incidente mi ero trasferita a Parigi e mi ero iscritta a Biologia. Biologia indirizzo Vegetale, certo. Non potevo fare a meno delle piante. Ma solo in laboratorio, ormai; e solo in Francia – c’è chi arriva in un altro Paese e si strugge di malinconia, non vede l’ora di tornare a casa, odia il cibo, il clima, le abitudini, odia le canzoni e i riti, gli usi e le frasi fatte, le tradizioni e le feste; e poi c’è chi, come me, ci arriva fuggendo, e allora assimila qualunque cosa e si adatta, senza rimpianti e senza nostalgia, anzi, cancella gli odori e i suoni e le parole, e tutto quello che gli ricorda casa lo chiude a chiave, nonostante la notte, talvolta, non riesca a dormire, e il giorno dopo sia di pessimo umore, che c’hai oggi, Ale? Nulla. Come, nulla? Lasciami in pace, Pierre!
Le piante hanno un metabolismo molto particolare, ripeto da anni ai miei studenti, sono organismi autotrofi che, a differenza degli esseri umani e degli altri animali, producono autonomamente le sostanze organiche necessarie al proprio sostentamento: lezione n. 1. Le piante non hanno bisogno di nessuno. Niente legami, niente relazioni, niente di niente – anche se questo non lo dicevo, mi limitavo a pensarlo.
Solo le piante sono in grado di produrre molecole organiche a partire dall’inorganico; bastano la luce, l’ossigeno, l’acqua, l’anidride carbonica e i sali minerali per farle vivere, elementi ubiquitari e rinnovabili: lezione n. 2.
Siamo noi umani a dipendere da loro. Il cibo, le bevande, il legname, i tessuti, la carta, quasi tutto ciò di cui abbiamo bisogno viene dalle piante: lezione n. 3.
Subito dopo la laurea, mi ero specializzata in Tassonomia e sistematica vegetale. Ero affascinata dall’ordine: classificare, nominare e raggruppare le 321 212 piante esistenti.
Gli organismi si suddividono in Generi, ripeto ai miei studenti. Prima di spiegare che i Generi si raggruppano in Famiglie, le Famiglie in Ordini, gli Ordini in Classi, le Classi in Phyla, i Phyla in Regni; e che per completare la classificazione è bene utilizzare anche un certo numero di categorie intermedie: lezione n. 1 – nome: Alessandra; cognome: Delli Colli; altezza: 1,67 centimetri; capelli: rossi; occhi: nocciola; segni particolari: nessuno. O meglio: c’erano quelle lentiggini che non sopportavo, mamma non le aveva, perché non avevo preso da lei? E poi, se sollevavo i capelli o li sistemavo di lato, sulla nuca appariva il tatuaggio di una farfalla stilizzata, poche tracce di nero per disegnare le ali, un promemoria costante, ma anche un monito, si cambia e ci si trasforma, basta avere il coraggio di volare via.
I due unici principî cui attenersi sono il rigore e la parsimonia: lezione n. 2 – mamma era disordinata, e distratta, e perdeva qualunque cosa, facendomi spesso innervosire, perché non è mica tanto difficile trovare un criterio per classificare gli oggetti e attenercisi, che bisogno c’è di sparpagliare ovunque i gomitoli di lana, mamma? È mai possibile che io debba ritrovare le tue forbici da cucito nel mio bagno?
Ogni cosa ha un suo posto, ogni posto una collocazione, ogni collocazione un motivo: lezione n. 3 – qual è ormai il mio posto? Dov’è che mi colloco? A Parigi, mi dicevo, rinata e diversa, senza più bisogno di lacci e lacciuoli e catene e bugie, che poi è sempre così che succede: ci si lega e si soffoca, e ci si dimentica che la vita non è altro che una serie di attimi da vivere nel presente, l’uno dopo l’altro, senza sensi di colpa e senza vergogna.
Rigore e parsimonia. Ci ho costruito sopra la mia intera esistenza.
A parte Pierre, che era l’incarnazione stessa dell’assenza di rigore e parsimonia, e talvolta non riuscivo proprio a evitare di essere sarcastica con lui, solo i bambini viziati sono così pasticcioni, quand’è che cresci? Ma in fondo le cose mi andavano bene, ero rassicurata dal suo essere un eterno adolescente, Pierre non mi avrebbe mai fatto del male. Con lui accanto, e senza figli, il capitolo «genitori» era chiuso.
 
[da Idda di Michela Marzano, Einaudi, 2019]
 
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Luigi Oliveto

Luigi Oliveto

Giornalista, scrittore, saggista. Inizia giovanissimo l’attività pubblicistica su giornali e riviste scrivendo di letteratura, musica, tradizioni popolari. Filoni di interesse su cui, nel corso degli anni, pubblica numerosi libri tra cui: La grazia del dubbio (1990), La festa difficile (2001), Siena d’autore. Guida letteraria della città e delle sue terre (2004), Giosuè Carducci. Una vita da poeta (2011), Giovanni Pascoli. Il poeta delle cose (2012), Il giornale della domenica. Scritti brevi su libri, vita, passioni e altre inezie (2013), Il racconto del vivere. Luoghi, cose e persone nella Toscana di Carlo Cassola (2017). Cura la ristampa del libro di Luigi Sbaragli Claudio Tolomei. Umanista senese del Cinquecento (2016) ed è co-curatore dei volumi dedicati a Mario Luzi: Mi guarda Siena (2002) Toscana Mater (2004),...

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