21/10/2021
Di un vecchio falegname
Il vecchio che ci vive è un falegname dalla barba dura, e le spalle curve, e l’aria selvatica; sulla testa ha una parrucca colore della polenta di granturco. Su di lui, in paese, corrono molte dicerie: si racconta che il più ricco dei suoi nonni chiedeva l’elemosina, e di certo lo si sa bizzoso, collerico, più infiammabile di un fiammifero; nessuno lo ha mai visto con una donna. Da qualche tempo gli incespica pure la lingua, a volte si attorciglia su se stessa e non gli riesce di sillabare il più facile dei verbi. E non sono poche le sere in cui lo hanno trovato in un vicolo, che non sapeva dove fosse, o di notte, a litigare con le ombre delle querce o della luna in un dialetto sconosciuto. Lo chiamano mastro per scherno e Geppetto per bestemmiargli anche il nome: Giuseppe, Giuseppetto, Geppetto, un santo in burla, la cantilena che accompagna tutti gli uomini che vivono da soli. La verità è che la sua Nazareth è un borgo cattivo sul dorso di un Appennino che ha per gioco preferito quello di lapidare gli scemi, i senzafamiglia e i morti di fame.
Dell’idea che venne in testa a Mastr’Antonio
L’idea era piovuta nel cervello a Mastr’Antonio tra un bicchiere e l’altro, un sabato sera, mentre era a bere alla taverna con il farmacista, il curato, il droghiere e l’ufficiale della posta. Ho una corteccia dura da catasta, aveva dichiarato ai suoi amici, ma non è buona neppure per il fuoco. La regalerò a Geppetto. Non va forse dicendo a tutti che solo la legna gli manca? Ma prima gli dirò che è magica, che ride se le fai il solletico, e anche che ha una vocina che non sta mai zitta. Vediamo se davvero ci fabbrica la marionetta di cui ciancia tanto e si mette a girare il mondo, matto com’è. Non credo ci buscherà soltanto un tozzo di pane e un quarto di vino. Sono queste le parole che il più ricco falegname del paese aveva rivolto ai suoi amici, una sera d’inverno, nel fumo dell’osteria. Agli altri era parsa subito una gran trovata, e per brindare ai barili di sganasciate che quella bricconata prometteva avevano chiamato anche i tavernieri e chi, per un motivo o per l’altro, era seduto ai tavoli vicini. Non avevano terminato la prima bottiglia che l’intero villaggio sapeva già dello scherzo che si andava apparecchiando. Per l’eccitazione, Mastr’Antonio e i suoi compari si fregavano le mani: un’ora dopo avevano il naso più rosso delle ciliegie.
Un pezzo di legno per regalo
L’abitudine alle cortesie non l’aveva mai presa, per questo quando Mastr’Antonio gli aveva annunciato che quel tocco di legno se lo poteva portare in bottega – aveva detto giusto così, in bottega – e farci quello che voleva, magari proprio la marionetta che aveva sempre desiderato, Geppetto se ne era rimasto immobile e in silenzio, con gli occhi lucidi e la parrucca tutta storta che sembrava uno spaventapasseri. Strusciava le mani contro la stoffa sbrindellata dei pantaloni, le alzava, le abbassava, le pupille gli correvano da un lato all’altro. Da così tanto non riceveva un regalo che non sapeva più cosa si prova. Si ricordava solo il primo giorno di un anno lontano in cui una vagabonda che dava da mangiare ai gatti gli aveva offerto lo scampolo tutto disossato di una cotoletta, e lui non era riuscito a spiccicare neppure il nonnulla di un grazie. Com’è facile sbagliarsi sul conto degli esseri umani: nei suoi confronti, Mastr’Antonio aveva sempre avuto la luna girata, e quasi nemmeno gli dava il buongiorno se lo incontrava per via; possibile che fosse lo stesso uomo che adesso gli regalava un tocco di legno come quello con tutto il denaro che avrebbe potuto ricavarci? Quanto grande doveva essere il suo cuore se rinunciava a un affare così redditizio soltanto per esaudirgli un desiderio? Rabbrividendo per tutto il corpo, era arretrato fino al muro. Ma l’altro se la insisteva a dire che in tutti i boschi della penisola non avrebbe trovato niente di meglio per la sua marionetta: è vero, a prima vista lo si sarebbe potuto scambiare per una buccia d’albero, ruvida, bitorzoluta, uno di quegli scarti che si gettano nei fiumi, ma non si facesse incantare, quello era un tronco prodigioso, stregato, che avrebbe imparato anche a far di conto se qualcuno avesse avuto la pazienza di insegnarglielo e di levigarlo come si deve.
Cosa fosse passato nell’animo a Geppetto, in quel momento, è difficile da descrivere: gli girava la testa, e sentiva nel petto un arruffo che lo scombussolava e lo lasciava combattuto. Sul serio lo volete dare a me? Non è che vi sbagliate con don Carlo o con il sindaco? E l’altro giù a giurare e a spergiurare che a lui, e a lui soltanto, lo aveva destinato, quasi fosse anch’egli proprietario di una vera officina di falegnameria e il loro un discorso alla pari tra due soci che si dividono il legname. E quando alla fine si era convinto che le orecchie non lo avevano ingannato, e che si trattava realmente di un dono, si era gettato ai piedi del suo benefattore e aveva cominciato a baciargli le mani, e a stringerlo, per la felicità, e gli avrebbe baciato anche il naso, appena si fosse rialzato, se quello non l’avesse strattonato per la collottola, mentre dietro agli scuri delle finestre la comitiva al completo degli amici se la rideva.
[da Mastro Geppetto di Fabio Stassi, Sellerio, 2021]
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Giornalista, scrittore, saggista. Inizia giovanissimo l’attività pubblicistica su giornali e riviste scrivendo di letteratura, musica, tradizioni popolari. Filoni di interesse su cui, nel corso degli anni, pubblica numerosi libri tra cui: La grazia del dubbio (1990), La festa difficile (2001), Siena d’autore. Guida letteraria della città e delle sue terre (2004), Giosuè Carducci. Una vita da poeta (2011), Giovanni Pascoli. Il poeta delle cose (2012), Il giornale della domenica. Scritti brevi su libri, vita, passioni e altre inezie (2013), Il racconto del vivere. Luoghi, cose e persone nella Toscana di Carlo Cassola (2017). Cura la ristampa del libro di Luigi Sbaragli Claudio Tolomei. Umanista senese del Cinquecento (2016) ed è co-curatore dei volumi dedicati a Mario Luzi: Mi guarda Siena (2002) Toscana Mater (2004),...
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