“Lonesome Dove”, l’ultimo nostalgico West

Luigi Oliveto

07/12/2017

Confesso: mi piacciono i film western. Da ragazzo sono arrivato a immaginarmi seduto sulla sedia a dondolo, sotto il portico davanti al tramonto, con lo sguardo perso sulla prateria. E da lì immaginare la frontiera, o, per meglio dire, il suo mito romantico, che nel segnare (e spostare di continuo) un ‘oltre’ e un ‘al-di-qua’, stabiliva confini identitari, di progresso, di felicità. Così mi dondolavo in quel sogno fino a trovarmi in mezzo a bisonti, sceriffi, predicatori completamente bevuti di whiskey e dei versetti più tremendi dell’Apocalisse. Per tali ragioni non posso omettere di segnalare la ristampa in italiano del libro di Larry McMurtry “Lonesome Dove”, pubblicato per la prima volta nel 1985. Un grande classico (forse l’ultimo) della letteratura western, con tutte le situazioni del genere: cavalcate selvagge, polvere, mandrie, personaggi ruvidi e scapestrati. Di questo, infatti, parla il libro di McMurtry. Un'epica avventura attraverso le Grandi Pianure, che vede protagonisti giovani e vecchi cowboy, attorniati da una movimentata e colorata umanità di prostitute, cacciatori di bisonti, indiani, trapper, sceriffi, giocatori d'azzardo. Insomma, ecco il West; e il suggestivo spaccato di storia americana che esso rappresenta.
 
 
Quando Augustus uscì sotto il portico, i maiali grigi mangiavano un serpente a sonagli, uno non molto grosso. Doveva aggirarsi in cerca d’ombra quando era incappato nei maiali. Ora loro si azzuffavano su di lui, e il tempo di agitare il sonaglio era finito. La scrofa lo teneva per il collo, e il maialetto per la coda.
– Fuori dai piedi bestiacce, – disse Augustus, dando un calcio al maialetto. – Andate a mangiarlo al ruscello –. Era per il portico che li biasimava, non per il serpente. Con i maiali sotto il portico tutto diventava più caldo, e il caldo era già abbastanza. Scese nello spiazzo polveroso e andò fino alla casetta della sorgente a prendere la fiasca. Il sole era ancora alto, ostinato in cielo come un mulo, ma Augustus aveva l’occhio attento, e l’occhio gli diceva che quella luce lunga da ovest aveva assunto un’inclinazione incoraggiante.
A Lonesome Dove la sera si faceva attendere, ma quando arrivava era un sollievo. Per molte ore della giornata – e molti mesi all’anno – il sole sprofondava il paese nella polvere, lontano nelle pianure di chaparral, un paradiso per i serpenti e i rospi cornuti, i corridori della strada e gli scorpioni, un inferno per i maiali e gli uomini del Tennessee. Non c’era un albero da ombra degno di quel nome nel raggio di venti o trenta miglia; a dirla tutta, dove si trovasse l’ombra decente più vicina era oggetto di accese discussioni negli uffici – se si vogliono chiamare uffici una rimessa senza tetto e un paio di corral rattoppati – della Hat Creek Cattle Company, metà della quale era proprietà di Augustus.
Quel testardo del suoi socio, il capitano W. F. Call, sosteneva che c’era dell’ottima ombra non più lontano di Pickles Gap, a dodici miglia di distanza, ma per Augustus era inammissibile. Pickles Gap era una comunità ancora più insignificante di Lonesome Dove. Era sorta soltanto perché un idiota del nord della Georgia, un certo Wesley Pickles, si era perso con la famiglia tra i mesquite per una decina di giorni. Quando finalmente aveva trovato una radura, non se n’era più voluto andare e così era nata Pickles Gap, che attraeva perlopiù viaggiatori come il suo fondatore, gente troppo priva di volontà per attraversare qualche centinaio di miglia di boschi di mesquite senza perdersi d’animo.
La casetta della sorgente era una tozza costruzione in adobe, così fresca all’interno che Augustus ci sarebbe andato a vivere, se non fosse stata il rifugio prediletto di vedove nere, vespe e centopiedi. Quando aprì la porta, non vide neanche un centopiedi, sentì però il ronzio nervoso di un serpente a sonagli, evidentemente più sveglio di quello che stavano mangiando i maiali. Augustus lo vedeva appena, arrotolato in un angolo, ma decise di non sparargli; in una tranquilla serata di primavera, a Lonesome Dove, uno sparo poteva creare complicazioni. Lo avrebbero sentito tutti e avrebbero pensato che i Comanche erano scesi dalle pianure o che i messicani erano saliti dal fiume. Bastava che un avventore del Dry Bean, il solo saloon del paese, fosse ubriaco o infelice – il che era molto probabile – e sarebbe corso in strada a sparare a un paio di messicani, giusto per andare sul sicuro.
 
[da Lonesome Dove di Larry McMurtry, traduzione di Margherita Emo, Einaudi, 2017] 
 
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Luigi Oliveto

Luigi Oliveto

Giornalista, scrittore, saggista. Inizia giovanissimo l’attività pubblicistica su giornali e riviste scrivendo di letteratura, musica, tradizioni popolari. Filoni di interesse su cui, nel corso degli anni, pubblica numerosi libri tra cui: La grazia del dubbio (1990), La festa difficile (2001), Siena d’autore. Guida letteraria della città e delle sue terre (2004), Giosuè Carducci. Una vita da poeta (2011), Giovanni Pascoli. Il poeta delle cose (2012), Il giornale della domenica. Scritti brevi su libri, vita, passioni e altre inezie (2013), Il racconto del vivere. Luoghi, cose e persone nella Toscana di Carlo Cassola (2017). Cura la ristampa del libro di Luigi Sbaragli Claudio Tolomei. Umanista senese del Cinquecento (2016) ed è co-curatore dei volumi dedicati a Mario Luzi: Mi guarda Siena (2002) Toscana Mater (2004),...

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