Esattamente venti anni fa moriva a Radda in Chianti un grandissimo e misterioso giardiniere. Se chiedete in giro, vi diranno che si trattava di un autore di libri per bambini che per un periodo aveva vissuto negli Stati Uniti e poi era tornato in Italia. Ma quelli che lo affermano, si sbagliano. In realtà era un giardiniere ed uno speleologo del tempo. Dopo essere diventato un grafico, illustratore e art director famoso in tutto il mondo, gli capitò per strano caso e fortuna di cambiare vita per ben due volte. Lui non definiva quel fenomeno proprio così, preferiva il termine “capriole cosmiche”. La prima di queste capriole accade quando, alla fine degli anni cinquanta, durante un viaggio in treno con i suoi nipoti entrò in una di queste caverne temporali, una bella grande, e immaginò un libro illustrato per bambini rivoluzionario e “astratto” che è ancora tra i più venduti e letti al mondo: «Staccai la pagina e la feci a pezzettini. I bambini seguirono i preparativi con trepidazione. Presi un pezzo di carta blu e ne feci piccoli dischi. Lo stesso feci poi con i pezzi gialli e verdi. Mi misi la cartella sulle ginocchia a mo’ di tavolino e, con voce profonda, dissi: “Questo è piccolo blu e questo è piccolo giallo”, e intanto disponevo i pezzettini di carta rotondi sul palcoscenico di cuoio. […] I bambini erano ipnotizzati, e notai che anche i passeggeri che sedevano a distanza d’orecchio avevano deposto i loro giornali e ascoltavano con attenzione. […] I bambini applaudirono e a loro si unirono anche alcuni passeggeri». Quella pagina apparteneva ad una delle prestigiose riviste per cui aveva lavorato tutta la vita, e lui la divide simbolicamente come San Martino fece con il suo mantello, la divide coi bambini. Aveva cinquant’anni. Il libro è astratto perché, genialmente, alla fine i protagonisti sono due colori e due grandi amici che si cercano disubbidendo ai propri genitori e abbracciandosi si fondono tra loro diventando verdi. Tornati a casa i genitori non li riconoscono e cosi i due amichetti piangono calde lacrime fino a ritrovare la loro apparenza. I genitori comprendendo ciò che è successo si abbracciano diventando anche loro un po’ verdi e forse più felici per aver conosciuto, apprezzato e incluso ciò che era da loro diverso, attraverso l’amicizia che lega i loro figli.
Nato in Olanda, ad Amsterdam, Leo Lionni ha vissuto l’infanzia in Watergraafsmeer, quartiere abbastanza centrale da collocarsi in città ma allora anche abbastanza periferico da conservare un qualche contatto con la natura. I suoi zii erano architetti e importanti collezionisti d’arte, seppero comprare arte moderna quando costava ancora poco. Così in quella casa di Amsterdam in soggiorno c’erano gli Chagall, i Klee e i Kandinsky, in camera sua invece tanti terrari: “…le dimensioni dei miei libri per bambini sono esattamente quelle dei miei terrari. E ho anche scoperto che i protagonisti delle mie fiabe sono le stesse rane, gli stessi topi, spinarelli, tartarughe, lumache e farfalle che vivevano nella mia stanza più di tre quarti di secolo fa. […] I miei mondi in miniatura, sia quelli di ieri circondati dalle pareti di vetro sia quelli di oggi racchiusi fra copertine di cartone, si somigliano in maniera sorprendente. Gli uni e gli altri sono le alternative ordinate e prevedibili a un universo caotico, ingestibile, terrificante”.
I libri, una volta aperto sul treno quel varco temporale, si susseguono perché migliaia di lettori vi sono risucchiati dentro: Lionni ne esplora le profondità con oltre quaranta volumi da lui prodotti, spesso animati da personaggi esclusi ed emarginati, che immaginano e sostanziano con la loro voce quello che gli altri non vedono, quello che per loro non esiste. Le parole del Topo Federico, protagonista di una delle sue storie, topo sognatore disprezzato dai suoi consimili perché non lavora come tutti a raccogliere scorte per la stagione fredda ma si “limita” invece a raccogliere colori ed emozioni, si scoprirà poi che sono in grado di sfamare, scaldare, rincuorare tutta la sua comunità. In un volume del 1989, non tradotto in Italia, intitolato “Tillie and the Wall”, due tribù di topolini separate da un muro sono riunite grazie alla tenacia di Tillie, anche lei una sognatrice controcorrente, che immagina dietro al muro un bellissimo, fantastico mondo abitato da strani animali e piante. Mi piace pensare che un piccolo varco nel Muro di Berlino lo dobbiamo anche a questo racconto, scritto prima della sua caduta ma curiosamente pubblicato mesi prima proprio quello stesso fatidico anno.
Singolarmente, tutto questo a Lionni ancora non basta. Eppure aveva lasciato gli Stati Uniti per l’Italia. Eppure scrivendo quei libri si era già messo in gioco e con notevole coraggio, perché aveva molto da perdere in quanto nella sua vita precedente gli era capitato di lavorare con ampio successo per le più grandi riviste e compagnie americane, aveva incontrato sul suo cammino i grandi della letteratura e dell’arte. Altri non furono così coraggiosi se ad esempio il libro per bambini "Card Games Are Fun" di Alfred Sheinwold, pubblicato proprio nel 1959, non viene ancora adesso quasi mai citato nelle biografie di Andy Warhol, che pure ne fu l’insospettabile illustratore. Così all’inizio degli Anni settanta il varco temporale repentinamente si allarga a dismisura. L’Autore disegna una forma, e poi la forma sotto la sua mano diviene un albero esotico che, come presto appura, non è mai esistito. È l’inizio della sua grande opera sommersa, quella “La botanica parallela” che lo assorbirà quasi totalmente per gli anni a venire. Ecco il nuovo cambio di vita. Quell’albero diviene una foresta, e poi un mondo.
Come per la scoperta del tempo profondo, che fece intuire ad Hutton e poi a Darwin che la vita aveva origini remotissime, ma non quantificabili perché non si trovavano vestigia di un inizio, né prospettive di una fine così questo mondo parallelo non ha né alfa né omega. Lo si osserva da un pertugio della mente, attraverso le parole, come in una camera obscura. Le piante di Lionni possono essere insomma al contempo piante del futuro, che hanno ancora da ordinarsi e combinarsi nella propria esistenza, o forse già inconsapevoli fossili di sé stesse. Ricordano in qualche modo il gatto temporale dei racconti fantascientifici di Asimov, animale che esisteva in quattro dimensioni: oltre alle usuali dimensioni spaziali, i gatti di Pallas, delicatissimi e quasi inafferrabili, si allungavano una settimana e mezzo nel tempo, per cui sarebbero stati capaci di ululare ore prima di vedere un ladro e di digerire i pasti tre ore prima di averli consumati. Solo che l’allungamento nel tempo delle piante parallele è secolare, indefinito, cosmico.
Il tutto forse doveva suonare a Lionni un po’come una rivincita: visto che gli adulti sottovalutavano i libri per bambini e a volte si contraddicevano pure dicendo che i suoi erano troppo insoliti o astratti per il mondo dell’infanzia, con questo volume aveva trovato il modo di costringere gli adulti a tornare fiduciosi e sognanti come i bambini. Curiosamente ad un certo punto anche l’Autore, in un gioco infinito di rimandi, entra nel libro a pagina 263, come colui che ha contribuito alla scoperta della pianta denominata Solea: “Leo Lionni, che nulla ha a che fare con l’autore del presente volume, è lo pseudonimo di Pieter Jacobus Grossouw”. Ora, in letteratura niente avviene veramente per caso. Il libro “La botanica parallela” occupa esattamente il posto lasciato vuoto nel mosaico letterario di quegli anni: come nel Tetris, cala dall’alto nel 1976, all’improvviso e si incastra alla perfezione con quel che c’è intorno. Ci doveva essere insomma.
Le tessere di questo misterioso mosaico umano e fantastico sono quantomeno le seguenti. Il “Manuale di zoologia fantastica” di Borges è del 1957, ma subì rimaneggiamenti fino a diventare nel 1967 “Il libro degli esseri immaginari”: “La botanica Parallela” ne è l’opera speculare e gemella che, per altre e inverse vie, raggiunge le sue stesse conclusioni. Anche se nel caso di Lionni non si tratta di ritrovare il fantastico nascosto nella scienza reale come fa Borges, ma all’opposto di mettere giù un materiale totalmente fantastico nella forma di un credibile saggio scientifico. Poco importa: sono secoli che i bestiari reali e immaginari si rincorrono e si intersecano, a volte fondendosi a volte guardandosi in cagnesco lungo il confine del reale e del mito. Come dice Caspar Henderson nel suo “Libro degli esseri a malapena immaginabili” i mari sono più ricchi di esseri reali che mitici, e quegli esseri sono strani e a volte incantevoli in modi che mai avremmo immaginato.
“Centuria” di Manganelli invece è del 1979: “si intende, che quando si studiano le Cose che non esistono, si chiariscono anche le ragioni per cui non possono esistere, e i modi in cui non esistono: giacché le Cose possono essere impossibili, contraddittorie, incompatibili, extraspaziotemporali, antistoriche, recessive, implosive, e non esistere in molti altri modi”. Ma il nostro Autore è soprattutto e certamente stato giardiniere di Irene la misteriosa, la città che si vede sporgersi dal ciglio dell’altipiano” e che “si dirada in viottoli appena illuminati, dove ammassa ombre di giardini e dei tanti giardini che esistono solo all’ombra di palpebre abbassate, perché affacciano le loro terrazze sul lago della nostra mente, come dice Polo a Kublai in “Le città invisibili” di Calvino del 1972. Le sue piante crescono nei giardini ben curati delle città invisibili, sotto esse si riparano gli animali fantastici di Borges; c’è l’Anaclea Taludensis capace di fermarsi nel tempo e nello spazio, per cui misura sempre tredici centimetri da qualunque distanza la si guardi, la Tubolara, la pianta capace di dare forma e consistenza al vuoto, il Giraluna, vegetale elusivo e capriccioso, oppure ci sono le Artisie dalle forme così ovviamente artistiche che in alcuni esemplari sembrano addirittura artefatte, copiate dai ghirigori decorativi del Settecento. Ma ce ne sono molte, molte altre, come la Taluma labirintiana, capace di una mutazione genetica che prima attira e poi stanca a morte in un tortuoso percorso all’interno delle sue grandi foglie le voraci formiche che minacciano il suo stesso habitat. Esse invano tentano di raggiungere il loro centro dove è posta una irresistibile sostanza odorosa che funge da irraggiungibile esca. Una storia a parte, e che ben illustra i giochi linguistici di Lionni, ha la Lepelara, la pianta con la sommità a forma di cucchiaio. Lepel in olandese, la lingua madre di LIonni, significa appunto cucchiaio, ma se ne guardate l’immagine in rete vedete che in realtà si tratta della spatola, uccello che ha appunto il becco che ricorda un cucchiaio, e che in olandese si chiama lepelaar. Il DNA di questi mondi è insomma frutto di una meccanica combinatoria, ma in questo DNA a differenza del nostro vi sono parole compiute, non lettere. Parole che nascono prima delle piante o, in qualche caso anticipano l’esistenza stessa delle piante, partecipando alla loro genesi come una promessa. D'altronde dice Borges che in sostanza, se solo si può scrivere, un libro esiste e può emergere come spontanea e fortuita combinazione di lettere. E allora, se esiste un girasole, come può non esservi un giraluna, la cui esistenza e le cui radici affondano proprio in questo suo essere parola, prima ancora che pianta?
Lionni scrive nel 1997 una intensa autobiografia, intitolata singolarmente, "Tra i miei mondi". Sì, perché una vita come la sua, quella insomma di un altro avventuroso trasvolatore del secolo breve (ma in fondo non è così per la vita di tutti?), si vive “tra” per definizione. Quanto al tempo infatti, non si esiste mai in un istante, si vive almeno “tra due momenti”, e se si pensa alle altre tre dimensioni anche in quel caso non si esiste in un punto singolare, si vive sempre “tra” o “entro” uno spazio delimitato da coordinate. E grazie al meccanismo del sogno e del ricordo questi momenti e spazi possono a volte subire delle possenti inversioni, contrazioni e dilatazioni cui non ci si deve opporre, perché non avrebbe senso, esattamente come un girasole non può impedirsi di seguire la luce. Insomma, a sentire Lionni siamo tutti una specie di delicatissimo gatto temporale. Il varco temporale a proposito è ancora lì dove lui lo ha lasciato per noi, da qualche parte (ma sempre alla nostra portata) tra Radda in Chianti e il mondo: sta a noi fare in modo che non si richiuda mai. Sarebbe un vero peccato non veder più fiorire una Sigurya.
Torna Indietro