21/09/2015
A trent’anni dalla morte di Italo Calvino Siena ricorda lo scrittore con iniziative di varia caratura, pensate per non lasciar passare sotto silenzio una data incisa nella memoria della città, inseparabile dalle stanze del Santa Maria della Scala, l’antico ospedale per il quale affannosamente si sta progettando un pieno riuso a fini museali e culturali.
Calvino vi spirò nella notte tra il 18 e il 19 settembre 1985: la sua dolorosa agonia fu lunga e diventò un fatto pubblico. Vi era giunto il 6 settembre, trasportato da Roccamare, la quieta pineta presso Castiglione della Pescaia dove soleva trascorrere le estati, riposando, meditando e lavorando nella villa di proprietà finita di costruire nel ’73. La moglie Esther Judith Singer, confidenzialmente Chichita, fissò in agghiaccianti parole l’attimo fatale: «Era l’una – si legge nelle cronache di allora –, mancava poco al pranzo, quando ho sentito un urlo terribile, son corsa in giardino e ho trovato mio marito riverso per terra, privo di conoscenza, il viso paralizzato». La casa delle laboriose vacanze era un’amatissima oasi, che consentiva di stare alla larga dalle faccende quotidiane. Calvino stava mettendo a punto i testi delle Lezioni americane. L’emorragia cerebrale era stata devastante.
L’operazione cui fu sottoposto durò più di sei ore. Un fievole barlume di speranza s’accese: «tecnicamente riuscita» sentenziò il professor Domenico Gambacorta appena dopo aver portato a termine l’intervento. Chichita riuscì a scambiare qualche mozza parola col marito al risveglio e ne riferì con contratta apprensione: «Italo amava questa città ed era maniaco dei musei. Ho parlato con lui dopo l’operazione. Mi ha chiesto: “Ho avuto un incidente d’auto o un infarto?”. Io ho cercato di spiegare che cosa era accaduto e ho aggiunto che eravamo a Siena, all’ospedale. Lui con un filo di voce ha risposto: "Già, Siena! È una città che si percepisce…la sento”. E da quel momento non ha parlato più. Quest’addio, sillabato insieme al nome di una città che gli stava nel cuore, ha legato il nome di Calvino a Siena, che non solo per doveroso ossequio ha programmato una serie di appuntamenti inventati traendo spunto da pagine che alludono a spazi o usanze della Toscana più frequentata e osservata: la costa selvatica e dolce al riparo del piccolo promontorio delle Rocchette, la piana della campagna che si distende fino alla spiaggia, i borghi alti sui colli, le città rallegrate da sanguigni giochi popolari.
Fu Pietro Citati a introdurlo in un mondo fatto di misure e silenzi che da subito affascinarono il pensieroso signor Palomar. E Carlo Fruttero, anche lui tra i residenti di riguardo di Roccamare, fu sodale di fitti dialoghi e di stupefacenti scoperte. Più che nelle geometrie fantastiche delle “città invisibili” la traccia che Siena lascia nella mente di Calvino risalta chiara nelle chiose a Il Palio delle Contrade morte (1983), il racconto gotico che Fruttero & Lucentini dedicarono ad una celebrazione di sapore rinascimentale, ariostesca, misteriosa, cortese: «Più di tante altre città italiane Siena è un mondo a sé, in cui il passato storico è sempre presente e ineludibile, e si rinnova ciclicamente nel rito annuale del Palio, attorno al quale gravitano la struttura stessa della città, divisa in Contrade, i rapporti umani, il linguaggio, le passioni e pure l’identità delle persone». L’analisi di Calvino non esita di citare categorie antropologiche, suggerendo un audace parallelismo con le tensioni tra «i clan totemici delle tribù studiate da Lévi-Strauss».
La Maremma e Siena non sono gli unici luoghi della geografia toscana che agisce nell’immaginario di un narratore che prese le mosse da frammenti di realtà anche nel tratteggiare una cosmografia di originale invenzione. Del resto il filone realistico-autobiografico s’intreccia di continuo con quello fantastico, in singolari rispondenze. Pochi rammentano l’importanza che ebbe Firenze nella formazione di Italo Calvino. Che si era disciplinatamente adeguato alle pressioni familiari iscrivendosi nel 1941 alla Facoltà di Agraria di Torino. Dopo aver superato al secondo tentativo l’esame di matematica si trasferì – ventenne – a Firenze, nel gennaio ’43, sempre ad Agraria. L’ 8 settembre segnò anche per lui una svolta cruciale: si ribellò alla leva delle Repubblica di Salò e s’inerpicò ribelle per i “sentieri dei nidi di ragno”. A Firenze aveva letto molto e non manuali accademici: «mi sono da alcuni giorni abbonato – scrisse a Eugenio Scalfari nel febbraio 1943 – alla famosa biblioteca “Gabinetto Vieusseux” e faccio partire un libro al giorno con grave pericolo per l’esame che ho da dare tra una settimana. Basterebbe questo solo fatto per farmi restare a Firenze vita natural durante». Accanto alle tombe dei partigiani delle macchie grossetane ora Italo Calvino riposa, nell’aereo cimitière marin che domina Castiglione. Tanto alto e isolato da sembrare più vicino al cielo che alla terra.
Articolo pubblicato sul “Corriere Fiorentino”, 18 settembre 2015, p. 17.
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