19/06/2014
Delitti, cronaca nera, voyeurismo, racconto popolare. Il tema è d’attualità, ma non certo nuovo. Almeno per me, risale addirittura ai ricordi della infanzia. Quando, a sera, il mio sonno bambino era indotto dalle voci che giungevano dalla cucina dove mia madre (alla maniera di un domestico radiogiornale di fatti e opinioni) leggeva al babbo le cronache del «caso Montesi». Cioè della misteriosa morte di Wilma Montesi, avvenente ragazza romana di ventitré anni, figlia d’un falegname e fidanzata con un poliziotto, il cui corpo era stato rinvenuto esamine sulla spiaggia di Torvaianica la mattina dell’11 aprile 1953. Brutta storia di malcostume e intrighi politici che causò addirittura una crisi della prima Repubblica.
I resoconti giornalistici della vicenda scatenarono le più morbose curiosità sulla illibatezza della giovane e su un reggicalze misteriosamente sparito. All’epoca, in mancanza della spettacolarizzazione che nei decenni successivi (oggi ne abbiano superato veramente la soglia di decenza) sarebbe stata data dai
mass media alla cronaca nera, ci si organizzava, dunque, come si poteva. Ma l’elemento psicologico che faceva da molla non era diverso da quello odierno: impicciarsi delle altrui sciagure in modo insistito e pruriginoso, così da soddisfare guardoneria e autoassoluzione morale (grazie a Dio noi non siamo come loro).
Se poi la questione volessimo spostarla sul piano letterario, la cronaca nera, con il suo bagaglio di vicende e narrazioni, ha dato il suo bel contributo. Il primo pensiero andrebbe subito a In cold blood («A sangue freddo») di Truman Capote, in cui si racconta l’assassinio di un’intera famiglia realmente avvenuto
in Kansas. Un romanzo, inizialmente pubblicato a puntate sul New Yorker, che suscitò molteplici polemiche di natura letteraria ed etica. Con troppo cinico voyeurismo l’autore si era diffuso nel racconto di quel brutale fatto di cronaca. È forse il primo romanzo-reportage della storia della letteratura attraverso cui si vuole dire quanto il racconto crudo (oggettivo) della cronaca possa surclassare la narrazione romanzesca.
Ma come ci suggerirà Gadda con Quer pasticciaccio brutto di via Merulana (un capolavoro anche dal punto di vista dell’invenzione linguistica) la realtà è molto più complessa della sua evidenza, della cosiddetta «buccia delle cose». L’universo contraddittorio e oscuro dell’uomo è comunque e sempre un giallo
irrisolto, un pasticciaccio appunto. Forse per questo motivo la cronaca nera avrebbe una sua ragione d’essere: non tanto per alimentare morbosità, ma compassione. Anche e soprattutto per se stessi e per la propria (dimostrabile?) innocenza.
tratto da Il giornale della domenica di Luigi Oliveto (Betti editrice - primamediaeditore)
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Giornalista, scrittore, saggista. Inizia giovanissimo l’attività pubblicistica su giornali e riviste scrivendo di letteratura, musica, tradizioni popolari. Filoni di interesse su cui, nel corso degli anni, pubblica numerosi libri tra cui: La grazia del dubbio (1990), La festa difficile (2001), Siena d’autore. Guida letteraria della città e delle sue terre (2004), Giosuè Carducci. Una vita da poeta (2011), Giovanni Pascoli. Il poeta delle cose (2012), Il giornale della domenica. Scritti brevi su libri, vita, passioni e altre inezie (2013), Il racconto del vivere. Luoghi, cose e persone nella Toscana di Carlo Cassola (2017). Cura la ristampa del libro di Luigi Sbaragli Claudio Tolomei. Umanista senese del Cinquecento (2016) ed è co-curatore dei volumi dedicati a Mario Luzi: Mi guarda Siena (2002) Toscana Mater (2004),...
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