07/02/2014
Le tracce che se ne rinvengono nei libri di storia sono così esili da averlo ridotto ad un fantasma senza nome. Sulla figura dell’inglesino di affascinante aspetto che nel primo pomeriggio – mancavano pochi minuti alle 16 – del 10 settembre 1943 fu visto sbarcare nel porto di Brindisi dalla nave corvetta “Baionetta” al seguito di re Vittorio Emanuele III, in fuga da Roma con familiari, membri del governo e uno sparuto gruppetto di militari, le indagini sono state molto avare. L’agente speciale ammesso alla spaurita corte che aveva abbandonato in fretta e furia Roma, a poche ore dal fatale 8 settembre, era il ventiquattrenne Cecil Richard Dallimore-Mallaby, più semplicemente Dick Mallaby, nato a Ceylon e fattosi toscano dal 1925, da quando il padre aveva preso stabile dimora a Poggio Pinci, presso Asciano, al limite delle Crete senesi, in un’austera villa lasciatagli in eredità dalla marchesa Elisabetta Mallaby.
Appresa la notizia del magnifico dono da un laconico telegramma, il gentiluomo di origine indiana, vedovo dal giugno ’20, non aveva esitato a salpare per l’Italia per stabilirsi in una regione che da sempre occupava un posto privilegiato nel suo immaginario. Poco dopo l’arrivo il colpo di fulmine: incontrò la contessina Maria Luisa Bargagli Stoffi e la sposò. Così Dick, il signorino Dicche, affettuosamente soprannominato Gnicche, non fu più solo e crebbe con due fratellini, Carlo Alberto e Pia Teresa. Chi l’ha conosciuto da ragazzo lo rammenta vivacissimo e intraprendente con al’argento vivo addosso ed uno frenetico desiderio d’avventura. Allo scoppio della guerra Dick si arruolò nell’esercito inglese, dapprima inquadrato in una sezione di telegrafisti e poi finalmente accolto, dal 1942, nei ruoli del S.O.E. (Special operations executive), corpo speciale fondato nel ’40 e addetto a rischiose operazioni da condurre in autonomia e senza giovarsi di particolari protezioni. Per il coraggioso Dick, quadrilingue, paracadutista, aitante sportivo, bravo in radiotelegrafia, agire come uno spregiudicato 007 era connaturata vocazione. Perché Dick avesse raggiunto Brindisi addirittura a bordo dell’imbarcazione regale lo spiega Gianluca Barneschi in un libro di storia che si legge come un giallo-verità (L’inglese che viaggiò con il Re e con Badoglio (Libreria Editrice Goriziana).
Paracadutato nella zona del lago di Como il 14 agosto 1943, all’avvio della prima missione, l’impaziente agente inglese rischiò né più né meno d’essere fucilato, complice la luna sfacciatamente piena che aveva rivelato a un bel po’ di curiosi il suo atterraggio. Ma seppe cavarsela egregiamente. Invece di passarlo per le armi gli italiani videro in lui un soccorso della Provvidenza e pensarono che avrebbe potuto ottimamente tenere i collegamenti tra i capi dell’esercito italiano e le forze alleate: era già in fase di maturazione la trattava per il cosiddetto armistizio e Mallaby, segnalato dai servizi britannici, aveva tutte le conoscenze tecniche indispensabili per la bisogna. Verso le 16 del 29 agosto Mallaby inviò con lo pseudonimo di Olaf il primo messaggio: “Sergente C.R. Mallaby, al quartiere generale alleato del nord Africa. Ho avuto istruzioni dal generale Castellano di stabilire contatti radio tra il governo italiano ed il quartier generale alleato: richiedo istruzioni”. Fece seguito un testo personalissimo e autenticante, un saluto all’amata, la futura moglie addetta alla cifratura: “Christine ti amo”.
Era l’inizio di una lunga sequela di scambi – tra Massingham (nome cifrato di una località presso Algeri), da parte di Monkey/Drizzle (nomi in codice di Dick), ed il comando italiano – che avrebbe faticosamente condotto alla sigla dell’armistizio, concluso il 3, programmato per il 12, ma comunicato l’8, con i contrattempi cronologici e le drammatiche conseguenze note. Il generale Giuseppe Castellano aveva già da tempo avviato contatti segreti a Lisbona. Era ultraconvinto che gli italiani non aspettassero altro che liberarsi dell’alleanza coi nazisti e cambiar fronte. Il lancio di Mallaby era avvenuto, dunque, per caso nel posto giusto al momento giusto. Dopo una breve sosta formale a San Vittore e un veloce trasferimento a Regina Coeli il biondino non solo scampò all’esecuzione, ma divenne a Roma il tramite indispensabile per un dialogo diplomatico decisivo. L’uomo del S.O.E. era diventato talmente fondamentale da venir incluso nella ristretta lista di quanti fuggirono da Roma nelle prime ore del 9 settembre, re in testa. Agli studi specialistici e alla bibliografia consolidata si aggiungono molti tasselli, con incontrollata abbondanza di dettagli. La ricerca di Barneschi non nasconde toni ammirativi da devota biografia. Non meno rocambolesca e fortunosa risultò una seconda missione, allorché Mallaby, sotto la falsa identità di un capitano Tucker, dicendosi latore di un messaggio del generale Harold Alexander, si adoperò per accelerare la resa tedesca, intessendo diretti contatti con l’esitante Karl Wolff.
Finita la guerra lo 007 di Asciano non si mise in pensione. Nel ’52 entrò nei ruoli della N.A.T.O. senza però far parola delle sue imprese: acqua passata, altri tempi. Il cuore aveva risentito di situazioni non certo ordinarie e lui che sembrava un invincibile eroe, chiuse, nell’aprile 1981 – còlto da un terzo infarto – il percorso che l’aveva portato, a sua insaputa, al centro di alcuni dei momenti più aggrovigliati del conflitto. Quando in estate tornava a Poggio Pinci, in pellegrinaggio, ogni anno, era una pacchia. Arrivava con una massiccia Rumble colma di regali per tutti. I quattro figli, Carol, Elisabeth Spray, Christopher e Richard detto Vaki lo festeggiavano come un Babbo Natale fuori stagione. Amava portarli in giro evitando le noiose autostrade. Di fastidioso aveva solo un barboncino nero e molto mordace, Jet, che nel nome evocava avventure passate: la parte della sua vita che non raccontava mai, depositata nelle carte d’archivio per sempre.
Articolo pubblicato sul “Corriere Fiorentino” il 7 febbraio 2014
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