Suonano ripetutamente alla porta. È già arrivata. Detesto quando fa squillare il campanello in quel modo insistente. Avrei voluto poltrire a letto e poi andare a correre nel parco, ma, anche questo sabato, mia suocera ha scombussolato i miei piani. Compare radiosa come sempre, con la voce alterata da un’incontrollata eccitazione. È fresca di parrucchiere che forse ha esagerato con il biondo, ha poco trucco ma è molto abbronzata, anzi, lampadata. Entra carica di borse della spesa e si dirige in cucina; il suo fortissimo profumo all’ambra ha già invaso la casa e il rumore dei suoi tacchi è fastidiosissimo.
«Cosa fai ancora in pigiama? Su, forza, vestiti che ho una sorpresa per te!».
«Sono proprio una donna fortunata!» dico con sarcasmo, ancora assorbita dal sonno.
Mi chiedo quale sarà la sorpresa che me la farà odiare di più oggi, se il mercatino etnico, l’inaugurazione di una mostra o un corso di yoga o ancora la colazione con qualche sua amica che deviassolutamenteconoscere?
Meticolosa, prepara la colazione, guarda inorridita i miei dolcetti farciti di crema e piazza sul tavolo frutta, yogurt e del triste pane tostato.
«Sto risistemando la vecchia casa di campagna. Portati via l’essenziale che stiamo via per tutto il fine settimana».
«Il fine settimana?» urlo dalla camera da letto dove mi sto cambiando, esco saltellando su un piede solo, devo ancora mettere l’altra scarpa da ginnastica «e Lorenzo?».
«Ho avvisato io Lorenzo e poi stasera parte per quel congresso di giornalisti a Padova».
Mi osserva dalla testa ai piedi, so bene che disapprova i miei jeans scoloriti, allunga una mano per darmi una sistemata alla massa di capelli rossi che mi scendono sulle spalle ma ci rinuncia rassegnata.
«Prometto che prima o poi indosserò qualcosa di più femminile» le do un bacio sulla guancia.
Mentre mia suocera pianifica il fine settimana, chiamo mio marito che sembra divertito da pazzi nel sapermi tra le grinfie di sua madre a gestire inerme tutte le sue stranezze.
«In bocca al lupo, amore» mi dice ironico ridacchiando al telefono.
Prima di uscire prendo un dolcetto e lo divoro sotto gli occhi severi di Carmen.
«Non sapevo dell’esistenza di una casa di campagna» commento ingranando la marcia.
«I lavori di ristrutturazione sono una scusa, voglio farti conoscere delle persone» rivela abbassando il volume dello stereo.
«Chi?».
Non risponde e sorride sistemandosi meglio sul sedile. Abbiamo appena lasciato la città urlante dell’ora di punta, scivoliamo nel verde e nel silenzio dei colli bolognesi.
Che gran bella sensazione di pace! La dimora di campagna è vicino a un boschetto lontano dal paese, in una posizione un po’ isolata. È una casa a due piani, costruita in pietra con l’edera rossastra che si arrampica sui muri esterni e una lunga parete in vetro al piano inferiore che mostra un grande salone col caminetto. L’arredamento è bianco e beige, di un delicato stile provenzale e dalla cucina una portafinestra dà sul giardino che sembra un piccolo eden con cespugli di lavanda qua e là. Entro un po’ intimidita e spazio con lo sguardo in ogni angolo: ci sono i ricordi di viaggio che mia suocera ha comprato in giro per il mondo, scaffali di libri e dischi, una vecchia scacchiera, una bellissima gigantografia di Carmen in bianco e nero e, sul camino, una statuetta africana in legno che rappresenta i corpi di due amanti che si intrecciano fino a formare un’unica persona. Sento voci e risate venire da un’altra stanza della casa, entro quasi in punta di piedi e mi compare un gruppetto di signore che bevono whisky e mettono vecchi dischi. Vorrei tornare indietro e uscire da quella scena che non mi appartiene, non è giusto guastare quella nostalgica intimità.
«Roberta, assaggia il whisky di Sofia e dimmi che te ne pare. Anni di esperimenti nella distillazione».
Con questa frase sono accolta dalle amiche di mia suocera, alle quali, naturalmente, ha già parlato di me. Le conosco una a una e rimango affascinata dal loro carisma e dalla loro diversità. Rosa si muove elegante con movimenti lenti nel suo vestito di seta blu, è stata una cantante lirica e adesso vive un appassionato amore con un “giovanotto” di quarantacinque anni; Sofia cammina scalza e indossa un camicione indiano come fosse un abito da sera, è la spirituale del gruppo, ha vissuto tanto tempo in India e adesso ha aperto una fornitissima erboristeria a Modena; Rebecca porta con disinvoltura i jeans e la camicia bianca, è più giovane delle altre, è una ricercatrice universitaria, ha vissuto in pieno il Sessantotto e si è sposata due volte, sarebbe perfetta come protagonista di un romanzo. In meno di un’ora mi sono bevuta un abbondante bicchiere di whisky, ho imparato qualcosa di più sull’opera lirica e sugli attori dei film in bianco e nero, mi sono lasciata andare ai loro racconti di viaggi, sono scivolata silenziosa nei loro ricordi passando dallo slancio della rivoluzione culturale del Sessantotto ad amori impossibili e sofferti.
Queste incredibili ragazze attempate hanno occhi sereni che si lasciano scrutare dentro, dove le immagini di un passato inquieto ancora si agitano; sono semplici nel loro fascino ricercato, usano parole a volte schive e a volte avvolgenti, conoscono i colori più belli dove intingerle, i posti più suggestivi dove raccoglierle, si parlano con uno sguardo tra di loro, si scambiano i pensieri, si prestano i ricordi. Hanno mani grinzose e vissute, gesti energici ma misurati e sanno cosa dire e fare per crearmi un posto morbido e ordinato in cui fermarmi per un po’. Carmen entra in modo rumoroso, si sbarazza degli arnesi da giardinaggio e si versa del whisky con ghiaccio. Ha lo sguardo diverso, di una leggerezza che non le avevo mai visto prima, il sorriso è quasi irriverente, i modi vivaci.
«Whisky, Turandot e le foto del viaggio in Africa con Albert, cosa c’è di più appagante!».
So bene che il nome di mio suocero non era Albert e poi Carmen non beve alcolici...
«Chi è Albert?».
«Il grande amore» sospira Carmen come un’adolescente con l’aria di chi non mi deve spiegazioni.
Cala il silenzio, tutte pensano in modo diverso a quest’uomo con sorrisi mesti e sguardi traboccanti di nostalgia.
«Allora ragazze, di chi è stata l’idea di questa allegra rimpatriata?» chiede Carmen guardandole fisse negli occhi.
«Carmen, tesoro, ci hai mandato l’invito a casa qualche settimana fa» dice Rosa con la sua solita delicata innocenza.
«Non io, da anni non o più avuto vostre notizie, ho perso i contatti dopo l’ultimo trasloco».
«Carmen, sei sicura di non avere problemi di memoria?».
«Sicurissima Sofia, questa settantenne ha ancora energia da vendere. L’invito non l’ho mandato io».
«Come vi siete conosciute?» domando per spostare la discussione su un altro argomento.
«In carcere» mi risponde Rebecca buttandomi addosso i suoi occhi azzurri.
«In carcere?» chiedo allibita con una voce stridula che non mi appartiene.
Butto giù dell’altro whisky.
Estratto del racconto "La rosa nera" contenuto nel libro "I colori di Venere"
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