La ribellione di Campiglia d'Orcia alla Controriforma. Storia delle Beatelle

Luigi Oliveto

25/08/2011

Il 3 luglio del 1576 arriva a Campiglia d'Orcia un visitatore d'eccezione: si tratta di Francesco Bossi, vescovo di Perugia, inviato dal Papa in varie località della penisola, più o meno grandi, per ispezionare la conformità delle diverse comunità cristiane ai decreti del Concilio di Trento. Forse nemmeno il pievano di Campiglia, don Bernardino Marzocchi, si rende conto di chi sia il personaggio venuto a esaminare lui e il suo gregge: il Bossi, patrizio milanese, giureconsulto, amico di Carlo Borromeo, ha preso gli ordini religiosi nella maturità per impegnarsi con vigore e intransigenza nell'opera di riforma della Chiesa cattolica, di cui è uno zelante interprete.

Il Concilio di Trento si è concluso da soli tredici anni: la Chiesa cattolica ha ridefinito le verità di fede e ha avviato un'opera di riforma morale e di rinnovamento spirituale per rispondere alla sfida della Riforma protestante. Questa reazione si esplica anche sul piano repressivo – si pensi all'azione inquisitoria del Santo Uffizio o all'Indice dei libri proibiti – e sta insanguinando l'Europa: poco meno di quattro anni prima, nella notte di San Bartolomeo nell'agosto del 1572, migliaia di ugonotti sono stati trucidati a Parigi. L'assassinio politico – addirittura la monarcomachia – è non solo teorizzato dai teologi, ma praticato dagli stessi religiosi. Nel “secolo di ferro” tornano così a devastare l'Europa i “quattro cavalieri del'Apocalisse”: la guerra, nella sua forma più feroce, quella di religione, si allea con la carestia e la peste per celebrare, ancora una volta, il trionfo della morte.

Campiglia non è certo immune a queste devastazioni: certo, con la caduta della mai amata Repubblica di Siena si sono concluse nel 1559 le guerre che hanno sconvolto per lunghi anni il senese e la Val d'Orcia (la Repubblica è finita proprio con la capitolazione di Montalcino, sua ultima sede). La ripresa, però, è resa difficile da un clima che in generale si sta facendo più freddo e umido, da un'agricoltura che non conosce innovazioni in grado di soddisfare i bisogni di una popolazione cresciuta sensibilmente, da un prelievo statale e feudale che grava sempre più sul lavoro dei contadini. Da tempo Campiglia non è più un soggetto della grande politica come all'epoca d'oro dei Visconti: infeudata, ha perso le sue libertà comunali ma è comunque un centro popoloso e laborioso che conta diverse chiese e cappelle: tra di esse, accanto alla parrocchiale di San Biagio, che è tale solo dall’inizio del secolo XVI, e la cui costruzione può presumibilmente datarsi a quell’epoca, c’è la vecchia pieve del castello, la chiesa di Santa Maria, dove si trova – ancora oggi non si sa come arrivato – un piccolo gioiello dell'arte del tardo Quattrocento, la pala della Visitazione dipinta da Pietro di Francesco Orioli poco dopo il 1480.

È nei pressi della chiesa di Santa Maria che si combatte lo scontro che ha dato il primo spunto e il titolo a questa pubblicazione. A sfidare, sia pure inconsapevolmente, il potente interprete della Controriforma sono dieci suore, le “Beatelle”, Terziarie francescane che dividono le loro vite tra le famiglie d'origine, presso cui trascorrono i lunghi e rigidi mesi invernali, e un piccolo convento sito in prossimità della rocca. Fa parte dell'opera della Controriforma non solo riportare sotto il controllo della gerarchia le forme della religiosità popolare, a volte confinanti con la magia quando non con il paganesimo, ma anche ristabilire le gerarchie che le nuove idee e pratiche rischiano di sconvolgere.

Quella della Controriforma è un'età sessuofoba, che non solo arriva a coprire le nudità delle opere d'arte rinascimentali, ma che mediante i manuali destinati ai confessori, che elencano minutamente tutte le possibili infrazioni all’etica cattolica con le relative penitenze, disciplina e sottopone a un controllo sempre più ferreo l'intimità della vita delle persone. I conventi sono oggetto di particolare attenzione, e sono uno dei campi d'azione principale proprio del Bossi: prima della Controriforma molti erano stati gli abusi e le libertà sessuali degli ecclesiastici (a partire dai sommi pontefici), adesso si vuole imprimere una stretta repressiva a questi costumi. Ad esempio, il Bossi denuncia la facilità con cui dalle finestre del convento delle suorine di Campiglia si può comunicare con la strada (da cui è altrettanto agevole entrare nell’orto del convento stesso).

È un'età in cui si vuole soprattutto ristabilire il potere maschile sopra i pochi spazi di autonomia che, con i loro saperi e pratiche, le donne avevano conquistato nei grandi cambiamenti verificatisi tra l'autunno del Medioevo e gli inizi dell'Età moderna. Le “Beatelle” di Campiglia non sono certo le presunte streghe, depositarie di utili segreti naturali, a cui - tra XVI e XVII secolo - inquisitori e giudici danno la caccia, né posseggono il carisma di alcune sante che hanno sfidato, guidato o ammonito i potenti dell'epoca alla fine del Medioevo. Nella loro fragilità hanno però saputo creare uno spazio di libertà che, forse a loro insaputa, mina le strutture delle famiglie: non si sono volute maritare, e si sono sottratte così all'economia di scambi matrimoniali su cui si regge la comunità, non risiedono stabilmente presso le loro famiglie, eludendo in tal modo l'autorità dei padri o dei fratelli maggiori.

Di fronte a questa incontrollata libertà, il vescovo Bossi intima loro, richiamandosi ai decreti tridentini e papali, di scegliere: o lo stato secolare presso le famiglie (e sottoposte all'autorità maschile), o la clausura, sotto la sorveglianza del parroco. Le Beatelle replicano con il linguaggio di cui sono capaci: non quello del diritto canonico, ma quello delle loro debolezze, fisiche e morali, fragilità ben motivate in un mondo duro come quello del secolo di ferro (e ancora più duro per chi quel secolo viveva dal lato degli oppressi – e delle oppresse). Leggendo questo libro si potrà scoprire come si sia svolto questo scontro e come si sia concluso. Si troverà, però, molto di più: prima di tutto la storia non solo del convento, ma anche dell'attigua chiesa di Santa Maria, del tutto scomparsa nei primi decenni del XIX secolo. Grazie ai documenti d'archivio e alle più moderne tecnologie digitali è stato possibile ricostruire gli ambienti della chiesa e del convento e immaginare gli spazi in cui si svolgeva la vita delle Beatelle.
Infine, viene presentata la pala di Pietro di Francesco Orioli, al cui centro si trovano due dolcissime figure femminili – un sogno di leggerezza che le Beatelle avranno spesso contemplato e contrapposto alla durezza dei tempi, un altrove rispetto al secolo a cui invano hanno cercato di sottrarsi.

Tratto da Le Beatelle della mala stantia. Una chiesa e un convento perduti e ritrovati (Betti editrice / primamedia editore)

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Luigi Oliveto

Luigi Oliveto

Giornalista, scrittore, saggista. Inizia giovanissimo l’attività pubblicistica su giornali e riviste scrivendo di letteratura, musica, tradizioni popolari. Filoni di interesse su cui, nel corso degli anni, pubblica numerosi libri tra cui: La grazia del dubbio (1990), La festa difficile (2001), Siena d’autore. Guida letteraria della città e delle sue terre (2004), Giosuè Carducci. Una vita da poeta (2011), Giovanni Pascoli. Il poeta delle cose (2012), Il giornale della domenica. Scritti brevi su libri, vita, passioni e altre inezie (2013), Il racconto del vivere. Luoghi, cose e persone nella Toscana di Carlo Cassola (2017). Cura la ristampa del libro di Luigi Sbaragli Claudio Tolomei. Umanista senese del Cinquecento (2016) ed è co-curatore dei volumi dedicati a Mario Luzi: Mi guarda Siena (2002) Toscana Mater (2004),...

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