La porta. Dramma della gelosia per l’anonimo decoratore di abat-jour

Luigi Oliveto

31/07/2024

Leggere (rileggere) Georges Simenon è sempre appagante. Ogni volta si rinnova lo stupore per quella facilità di scrittura che fa intendere come sia subito scaturita così, buona alla prima, già prosciugata del superfluo (era capace di scrivere ottanta pagine al giorno lavorando solo alcune ore della mattina). Ugualmente sorprendono le storie di quei personaggi senza storia che egli racconta muovendoli in trame credibilissime. Solitamente è in tali scialbe esistenze che la crudezza della realtà va ad insinuarsi producendo piccoli/grandi drammi. Emblematici sono i ritratti, le psicologie, il parlato, le atmosfere che Simenon mette in pagina con bonaria perfidia. Di recente Adelphi ha riproposto il romanzo “La porta” (1962) con la ineccepibile traduzione di Laura Frausin Guarino. In questa storia – come in altre che Simenon ambienta a Parigi – per il lettore c’è un di più di gratificazione: Parigi, appunto; i suoi quartieri, le botteghe, la gente che ne è un tutt’uno. Il protagonista è Bernard Foy, non esce quasi mai di casa, ogni tre settimane passa a visitarlo il medico di fiducia per fare il punto su certi (presunti) capogiri, gli misura la pressione, somministra al paziente qualche goccia di buon senso. L’autorecluso, quando non sta dietro la finestra a scuriosare sulle vite altrui, decora abat-jour, nonostante che al posto delle mani, lacerate da una mina, abbia due protesi. Prima di diventare mutilato di guerra lavorava come meccanico. È sposato con Nelly, occupata in una bottega di passamaneria. Da giovani erano stati una coppia innamoratissima e tutt’oggi il loro rapporto non ha perso ardore e ragion d’essere. Ma a tormentare Bernard è ora un’insistente domanda: «Era possibile che per tutti quegli anni lei fosse stata felice con lui, e che lo fosse ancora?». Ha forti dubbi. Guarda Nelly, che, a dispetto degli anni, è sempre più bella e desiderabile; che ha una vita fuori casa indubbiamente «più animata, più appassionante» di quella vissuta tra le mura domestiche. Bernard è geloso: di lei, del suo tempo trascorso altrove, delle persone che incontra e con cui parla. Trascorre le giornate nell’inquieta attesa del suo ritorno. A peggiorare la situazione si è aggiunto il fatto che Nelly si presta a svolgere piccole incombenze per un giovane disegnatore, costretto sulla sedia a rotelle, trasferito da poco al primo piano del loro palazzo. Quella porta diverrà per Bernard un ulteriore elemento di angoscia. E se la bellezza di Nelly fosse data proprio dalla luce che una donna innamorata emana? Simenon, con quella sua capacità di leggere – prima ancora che di scrivere – cose e persone, si addentra in questo appartato dramma della gelosia che vede un anonimo decoratore di abat-jour avvilupparsi nella sua ossessione, fino alle estreme conseguenze. Del resto, quando la vita decide di farsi inclemente, preferisce i più nascosti. Crede, così, di non dare nell’occhio.

***
 
Come in molte vecchie case del quartiere, le finestre, alte e strette, scendevano fino a trenta centimetri dal pavimento e arabeschi in ferro battuto reggevano la sbarra del davanzale. Attraverso quegli arabeschi Foy, dalla sua sedia, seguiva più o meno coscientemente il viavai della strada. Aggrottò le sopracciglia quando vide la piccola automobile blu del dottor Aubonne girare l’angolo di rue des Francs-Bourgeois, entrare in rue de Turenne e, attraversando la strada in diagonale, fermarsi dietro al camion della cartoleria Herbiveaux.
Il dottore sporse la testa dalla portiera per assicurarsi di non essere troppo lontano dal marciapiede, eseguì una retromarcia accompagnata da un piccolo balzo in avanti e finalmente sgusciò fuori dalla minuscola auto.
Foy non sapeva di preciso che giorno fosse. Non lo sapeva mai. Il 5 o il 6 luglio. Al massimo il 7. Di lì a una settimana, le fanfare e i petardi del 14 luglio in place des Vosges li avrebbero tenuti svegli tutta la notte.
I bambini non erano ancora in vacanza. Mezz’ora prima si erano precipitati fuori dalla scuola con grandi schiamazzi e si erano sparpagliati nel quartiere.
Anche se ignorava la data, Foy sapeva che era lunedì, perché, il giorno prima, la strada era così vuota e silenziosa che, nell’appartamento dalle finestre spalancate, lui e Nelly avevano la sensazione di essere i soli abitanti di Parigi. A un certo punto, intorno a mezzogiorno, sul marciapiede deserto c’era soltanto un cane dall’aria smarrita.
Comunque, il dottore era in anticipo. Di solito veniva in rue de Turenne nel tardo pomeriggio, la terza settimana del mese, quando andava a visitare una sua vecchia paziente invalida in rue de Sévigné.
Perché, all’improvviso, Foy si chiedeva se quella storia era vera, se la vecchia esisteva realmente? Il dottor Aubonne non gli lasciava pagare la sua visita mensile, affermava di venire da amico più che da medico, il che, dopo vent’anni che si conoscevano, poteva anche sembrare plausibile.
Di solito, dopo quella retromarcia più o meno maldestra, con la testa fuori dalla portiera, il dottore alzava gli occhi verso il quarto piano dove era sicuro di vedere Bernard Foy seduto nel riquadro di una delle finestre, proprio come, a una finestra di fronte, sopra la cartoleria, si vedeva in ogni stagione la gabbia di un canarino.
Allora Aubonne, come se passasse per caso, faceva un gesto che significava:
«Posso salire?».
Perché non avrebbe potuto? Non disturbava mai. Sapeva che a quell’ora, come per la maggior parte della giornata, Foy era solo in mezzo ai suoi abat-jour e ai suoi pennelli. Ma quel gesto faceva parte del rito; era un modo per dare alla sua venuta un che di amichevole e di casuale insieme.
Prendeva comunque con sé la vecchia borsa dei ferri che col tempo si era scolorita e che non era già più nuova quando i due uomini si erano conosciuti, all’inizio della guerra.
Perché quel giorno il dottore non alzava la testa e si comportava come se ignorasse che Bernard teneva gli occhi fissi su di lui? E soprattutto perché era in anticipo di almeno una settimana?
Era stata forse Nelly a telefonargli per chiedergli di anticipare il giorno della visita? E forse lui, non potendo rivelarlo, si sentiva in imbarazzo all’idea che avrebbe dovuto mentire e recitare una parte...
Sul camion, dal quale due uomini in tuta blu scaricavano pacchi piatti e molto pesanti, spiccavano in lettere gialle le parole: Vedova Herbiveaux. Cartoleria all’ingrosso. Ma la signora Herbiveaux vendeva anche al dettaglio, visto che nel suo negozio a due vetrine andavano a rifornirsi tutti gli scolari.
Il dottore chiuse la portiera in due tempi, sbattendola troppo forte la seconda volta, e poi, dondolando la testa come fosse oppressa da troppi pensieri, con la borsa in mano, attraversò la strada senza badare al traffico.
A che cosa pensava? Che cosa pensava di Bernard e di sua moglie, della vita che conducevano da vent’anni in quell’appartamento di rue de Turenne, sopra la pasticceria Escandon, all’angolo di rue des Minimes?
Probabilmente, come medico e come uomo, conosceva Bernard più di chiunque altro, per averlo osservato così spesso con quei suoi occhi bovini che gli davano un’aria perspicace e candida insieme. Ma lo conosceva davvero?
In fondo, si limitava a passare una volta al mese, anche se un tempo lo faceva più spesso; aveva altri pazienti, casi più interessanti, all’ospedale Saint-Antoine e tra la clientela privata. Eseguiva fino a cinque interventi chirurgici al giorno, frequentava colleghi e amici, a volte giocava a bridge e poi aveva la sua famiglia, una moglie che aveva amato, che forse amava ancora, e tre figli maschi, due dei quali già sposati.
Bernard non poteva quindi rappresentare che una piccola parte del suo universo e dei suoi pensieri. Il dottore gli restava fedele, certo. Dopo così tanto tempo, continuava a venirlo a visitare come se fosse ancora necessario. Aveva dei dubbi a proposito della sua salute? Non pensava che tutti i problemi fossero ormai risolti?
Faceva un caldo torrido. Il sole non era ancora sparito dietro i tetti di fronte e disegnava lunghi rettangoli luminosi sul pavimento lucido.
Tuttavia, tra le due finestre che davano su rue de Turenne e quella che dava su rue des Minimes passava una corrente d’aria intermittente che lambiva la pelle come acqua fresca.
Foy restava seduto al suo posto, a disagio, inquieto, senza sapere esattamente perché. Seguiva col pensiero il dottore che era entrato nello stabile e che, passando davanti alla guardiola della portinaia, aveva probabilmente portato la mano alla tesa del cappello grigio, lo stesso che metteva tutto l’anno.
Non c’era l’ascensore. I gradini della scala erano consumati, ma lucidati con cura. A ogni curva tra un pianerottolo e l’altro si passava in una zona più in ombra e il dottore era solito fermarsi lì per riprendere fiato.
Quando Foy lo aveva visto per la prima volta, in divisa, con l’aria di un civile travestito da ufficiale, le grosse gambe fasciate da gambali di cuoio rossiccio, era un uomo di quarantaquattro o quarantacinque anni già un po’ stempiato, il che sottolineava la grandezza sproporzionata della testa.
Adesso dunque aveva sessantacinque anni. Era affetto da una malattia cardiaca, soffriva di diabete e, una volta che Nelly era in casa, aveva chiesto il permesso di ritirarsi in bagno per farsi un’iniezione di insulina.
Foy seguiva il suo procedere su per la scala, indovinava i rumori che Aubonne sentiva dietro le porte a mano a mano che saliva, la macchina per scrivere, al primo piano, dal signor Jussieu, traduttore giurato, il pianoforte, al secondo, dalla signorina Strieb che dava lezioni a delle ragazzine, forse il grammofono o la radio dalla signorina Renée, al terzo, o la voce della vecchia signora Meilhan, di fronte, che cercava di farsi capire dal marito sordo.
Gli sembrava che l’attesa fosse più lunga del solito e, senza una ragione precisa, aveva la fronte madida di sudore. Si alzò prima che i passi del dottore avessero raggiunto il pianerottolo e si avvicinò alla porta, sforzandosi già di sorridere.
Era ridicolo, lo sapeva. Si vergognava un po’ delle sue reazioni. Forse, da qualche tempo, tutto in lui era ridicolo. E, se le cose stavano così, era ancora peggio.
Stava in piedi a lato della porta chiusa, immobile, angosciato, l’orecchio teso ad ascoltare i passi sugli ultimi gradini, poi il respiro del dottore che, prima di bussare, aspettò di aver ripreso fiato. Indovinava i suoi gesti, il fazzoletto che si passava sulla fronte, sulle guance mal rasate, la sigaretta che riaccendeva, perché si spegneva regolarmente ogni volta che gli toccava salire le scale.
Finalmente Aubonne bussò e Foy, per dare alla situazione un’apparenza di verità, fece qualche passo su e giù prima di aprire.
«Avevo un po’ paura di non trovarla...».
Lo sguardo era chiaro e aperto. Negli ultimi anni era ingrassato per via del diabete. Portava l’eterno completo blu scuro la cui stoffa cominciava a diventare lucida e la cravatta, come sempre, era di traverso.
Bernard rispose:
«È da tanto che non esco di casa...».
«Male! Malissimo!».
 
[da La porta di Georges Simenon, trad. di Laura Frausin Guarino, Adelphi, 2024]
 
Torna Indietro
Lascia un Commento

Scrivi un commento

Scrivi le tue impressioni e i commenti,
verranno pubblicati il prima possibile!

Ho letto l'informativa sulla privacy e acconsento al trattamento dei dati personali ai sensi dell'art. 13 D. lgs. 30 giugno 2003, n.196

Luigi Oliveto

Luigi Oliveto

Giornalista, scrittore, saggista. Inizia giovanissimo l’attività pubblicistica su giornali e riviste scrivendo di letteratura, musica, tradizioni popolari. Filoni di interesse su cui, nel corso degli anni, pubblica numerosi libri tra cui: La grazia del dubbio (1990), La festa difficile (2001), Siena d’autore. Guida letteraria della città e delle sue terre (2004), Giosuè Carducci. Una vita da poeta (2011), Giovanni Pascoli. Il poeta delle cose (2012), Il giornale della domenica. Scritti brevi su libri, vita, passioni e altre inezie (2013), Il racconto del vivere. Luoghi, cose e persone nella Toscana di Carlo Cassola (2017). Cura la ristampa del libro di Luigi Sbaragli Claudio Tolomei. Umanista senese del Cinquecento (2016) ed è co-curatore dei volumi dedicati a Mario Luzi: Mi guarda Siena (2002) Toscana Mater (2004),...

Vai all' Autore

Libri in Catalogo

NEWS

x

Continuando la navigazione o chiudendo questa finestra, accetti l'utilizzo dei cookies.

Questo sito o gli strumenti terzi qui utilizzati utilizzano cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Chiudendo questo banner o proseguendo la navigazione, acconsenti all’uso dei cookie.

Accetto Cookie Policy
X
x