La partita

Romeo Lucchi

22/06/2020

Ogni sera mi raccontava la stessa storia. Rientravo a casa dopo una dura giornata di lavoro, cenavamo e poi lui mi raccontava la stessa storia. Tutti i giorni. Prima però dovevamo giocare la nostra partita.
«Lo sai Jack...» diceva restando in attesa. Mi chiamava Jack perché amava dare un tocco di internazionalità ai nostri nomi.
«Cosa Frank?» gli chiedevo. Era come giocare una partita a tennis: scambi di palla veloci, e tanta fatica.
«Molti anni fa quando ero giovane» continuava lui «ho fatto un viaggio. E sai dove sono andato Jack?»
«E dove sei andato Frank?» non potevo non chiederglielo, se non lo avessi fatto lui avrebbe continuato all’infinito. Una sera avevo provato a non giocare, lui era diventato sempre più insistente e poi siamo arrivati alle mani. Era una furia. Non avevo scampo: dovevo giocare la mia partita. Non spettava a me decidere se farlo o no.
«Sono andato a Barcellona, in treno. Ero partito da Genova a mezzanotte. I miei amici mi avevano accompagnato in stazione, e c’era anche lei. Sei mai stato a Barcellona Jack?»
«No Frank. Mai.»
«È una bella città. Ci devi andare. Lo farai Jack?»
«Lo farò Frank.»
«Promettilo.»
«Te lo prometto.»
 
A quel punto, dopo avermi estorto la promessa, la nostra partita era giunta al termine e io ascoltavo la sua storia. Nel nostro gioco non c’erano né vinti né vincitori, si giocava e basta.
«Avevo appena conosciuto Lory» diceva «e fino all’ultimo ero indeciso se partire o no. Mi piaceva molto quella ragazza, ma non volevo rinunciare al mio viaggio in solitaria. Era la mia prima volta. Ormai avevo detto a tutti che sarei andato a Barcellona da solo e non potevo più tirarmi indietro, avrei perso la faccia. C’era anche Lory in stazione con gli altri. Ci salutammo come si fa tra amici, non volevo far vedere agli altri che ero pazzo di lei. Arrivai a Barcellona la mattina dopo. Non ricordo quanti treni cambiai, ma ricordo che l’ultimo era veramente scomodo, spartano, con i sedili di legno. Non riuscii a chiudere occhio e ascoltai musica tutta la notte col mio walkman. Avevo una tipa seduta di fronte molto più vecchia di me, truccatissima, sembrava una battona. A un certo punto tirò fuori la lingua e si leccò le labbra guardandomi dritto negli occhi, io li chiusi e feci finta di dormire. Girai per due giorni in città come uno zombie. Mi spostavo tutto il giorno in taxi e in metropolitana senza una meta. Non avevo pace e decisi di tornare. Mi fermai a dormire una notte a Nimes e rientrai a casa. Per prima cosa chiamai Lory. Mi prendeva in giro, diceva che invece di star via una settimana dopo due giorni ero tornato solo per lei, perché anch’io l’amavo. Due anni dopo ci siamo sposati. Siamo stati felici, ma poi lei se ne è andata».
 
Quello era il momento più doloroso. Frank cominciava a piangere e a nulla valevano i miei tentativi per consolarlo. Era straziante. A volte piangeva tutta la sera e spesso mi era capitato di sentirlo disperarsi anche la notte, quando ormai c’eravamo coricati da tempo. Ci sono voluti mesi e tanta dedizione, ma un paio di settimane fa ho trovato Loredana, la Lory di Frank. All’inizio non voleva incontrarmi, ho insistito parecchio e sono riuscito a invitarla a pranzo. Siamo andati in un posto molto carino, cucina casalinga. Abbiamo parlato per tutto il tempo, ci siamo dilungati fino a tarda sera. Tra meno di un’ora Lory sarà qui, con Frank… chissà, magari per sempre.
 
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Romeo Lucchi

Romeo Lucchi
Nato a Genova nel 1961 vive in Piemonte. Da trent’anni si dedica professionalmente ad attività legate al teatro e al movimento espressivo. Ha rappresentato spettacoli, curato laboratori e corsi di formazione. In riferimento alla sua esperienza di pedagogia teatrale ha pubblicato un contributo su Infanzia, rivista scientifica di educazione da 0 a 6 anni, e una guida operativa per insegnanti della scuola primaria edita dalla casa editrice scolastica Il Capitello di Torino. Ha scelto la narrativa breve come sua forma espressiva di elezione. Suoi racconti sono stati pubblicati online, in antologie o trasformati in podcast.
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