“La magia del ritorno”, il libro più recente di Carla Stroppa, pubblicato da Moretti&Vitali Editori, ha la bellezza di un giardino in fiore che pure ha sperimentato l'energia turbolenta della tempesta devastatrice. Proviene dall'anima, ne conosce le vie, per questo raggiunge, con il suo potere vivificante fondato su parole rivelatrici, l'immaginario del lettore in quello spazio protetto, sospeso tra conscio e inconscio, dove è dato riconoscere lo statuto e la capacità d'azione del meraviglioso e della magia.
Il volume ha la caratura del saggio, ne serba la sapienza certo maturata nell'esercizio stesso della professione di cura dell'autrice, psicoanalista junghiana; ma lo stile e la grazia che lo caratterizzano traggono linfa viva dalla letteratura, più in generale dall'arte, con una predilezione dichiarata per il surrealismo che illumina l'esperienza e trasfigura la realtà. Carla Stroppa, come recita il sottotitolo "Sulle tracce del Mago di Oz di Frank Baum" ripercorre con sguardo partecipe e sapiente le pagine lievi e coinvolgenti di quel capolavoro letterario, avvertito fin dall'infanzia come suo libro d'elezione, per la rappresentazione simbolica di una solitudine esistenziale precocemente sperimentata che genera inizi fecondi e avvicina al proprio Sé.
Se dunque già allora aveva oscuramente riconosciuto questa storia come rappresentazione del proprio originario mito, ora, collocandosi all'interno di un cerchio che unisce passato e presente, restituisce al lettore la realtà e grandezza del libro di Baum che illumina, come le fiabe, l'interiorità di ognuno, con un effetto generativo attestato dagli stessi sogni che tornano a visitare le notti dell'autrice impegnata nel processo di scrittura. Attraverso pagine luminose, spesso poetiche che prendono per mano il lettore, seguiamo l'impegnativa queste della protagonista, sconvolta da un ciclone emotivo che spezza ogni certezza, per la frammentazione che accompagna questa condizione esistenziale, ma che approda alla ricomposizione del trauma, quale premessa imprescindibile del processo di individuazione.
Dorothy, lo ricordiamo, rimasta orfana, si mette in viaggio in compagnia del suo cagnolino, immagine di un'istintualità benefica e radicata, affronta le inevitabili peripezie di chi si inoltra nell'ignoto, incontra amici preziosi (uno Spaventapasseri che teme di non avere il cervello, un Boscaiolo di stagno che ha perduto il cuore, un Leone convinto di non avere coraggio, la buona Strega del Nord che l'aiuta a raggiungere la città degli Smeraldi), e ombre altrettante significative ed inquietanti, (una per tutte: la perfida Strega dell'Est) specchio della sua stessa psiche, fino a fare ritorno alla propria casa, immagine della totalità psichica che inverte il flusso negativo della vita e ricrea la misteriosa relazione tra finito e infinito.
“La magia del ritorno”, è un libro denso e importante per la conoscenza di noi stessi e per rinnovare il nostro sguardo sull'epoca che viviamo. È una testimonianza di ampio respiro sul potere della letteratura. Riconoscersi nelle pagine di un libro ha il valore di un incontro vivo e vero, efficace e significativo: favorisce "l'espansione di sé e dell'ermeneutica che la sostiene", consente di dialogare con Doppi d'Ombra rifiutati alla luce del giorno, tutela in noi l'anima del bambino, del puer aeternus, con le sue "illusioni necessarie", che si riflettono con la loro radice potente, in tutte le creature.
Il filtro estetico permette infatti di avvicinarci a quel dolore che abita la nostra interiorità e che rischia di collassare l'Io, poichè incoraggiandoci ad attraversare gli spazi creati dall'immaginazione creativa, ci conduce verso l'oltre, qui elettivamente guardato con attenzione attraverso le lenti della magia: la sola che immette in una memoria collettiva, che è memoria della Natura stessa, (secondo la lezione di Yeats), evocabile mediante simboli da cui traggono rinnovamento tutte le storie d'amore.
Seguendo le tracce del mago di Oz, l'anima ferita riesce a riprendere il volo, si concede deviazioni e soste fruttuose animate da immagini e presenze partecipi del sogno, passa sostanzialmente indenne dalla scoperta del simbolismo del Diavolo, patisce la potenza conquistata dall'Ombra, ma infine giunge alla ritrovata integrità del Sé originario, impegnativa conquista di quel nucleo intangibile che unifica cuore, cervello e coraggio, indispensabile alla realizzazione di se stessi.
La magia del ritorno delinea un percorso significativo e ineludibile per il nostro stesso tempo, caratterizzato da uno spaesamento senza precedenti e dalla scissione tra la dimensione cognitiva e quella emotiva, in virtù della quale sappiamo la realtà ma impediamo alle emozioni e in particolare alla paura, e ancor più alle paure globali, di investire e attivare il complesso di facoltà e risorse di cui disponiamo (con un meccanismo che fa pensare al concetto di diniego indagato da Freud); con il rischio di bloccare il soggetto, individuale e collettivo, in una condizione di angoscia che alimenta l'incuria e l'indifferenza rispetto agli scenari devastanti del nostro mondo.
Carla Stroppa lo sa e opportunamente ci ricorda "Eppure l'individuazione come insegnata da Jung, implica necessariamente la capacità di non subire in modo acritico la voce del pensiero medio collettivo, sia quello monotono, confusivo e assordante proveniente dal mondo esterno, sia quello surrettizio, e per questo anche più invalidante, proveniente dal mondo interno e dall'inconscio personale, che peraltro sono sempre tramati dall'inconscio collettivo e col pensiero del mondo esterno. È faticoso tenere la giusta posizione di soglia! Solo i grandi ci sono riusciti, per questo rimangono modelli da seguire, ma se guardiamo bene le loro biografie, scopriamo che hanno sempre amato i piccoli, i reietti, i solitari senza casa. Ascoltando gli umili, i grandi hanno messo a fuoco la loro parola mondo" (pag. 180).
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