La luce difficile. Una vita intera dentro un quadro

Luigi Oliveto

17/07/2024

“La luce difficile” cui allude il titolo del romanzo breve di Tomás González (edizioni La nuova frontiera, traduzione di Lorenzo Ribaldi) è quella che un pittore di nome David cerca di dare a un suo quadro per ottenere lo stesso effetto di quando l’occhio umano, tra stupore e turbamento, guarda il riflesso della luce sull’acqua finché va a inabissarsi nell’oscurità del gorgo. È difficile raffigurarlo, perché è qualcosa di sfuggente. I tentativi suscitano tenacia e sconforto, come accade ogni qualvolta un artista debba prendere atto dello scarto esistente tra intenzioni ed esiti, tra la rappresentazione della realtà e quanto di irriproducibile (inesprimibile) essa contenga. Quel quadro sarà l’ultimo della sua apprezzata carriera artistica. Torna a mettervi mano in circostanze drammatiche: nella notte che precede il giorno in cui suo figlio Jacobo ha deciso di sottoporsi ad eutanasia, stanco di soffrire dentro un corpo paralizzato a seguito di un incidente stradale. È dunque la notte tormentata di un padre che vorrebbe fare proprie le ragioni del figlio e che, allo stesso tempo, spererebbe in un suo ripensamento. Cosicché la difficile luce tentata e ritentata sulla tela, altro non è che il riflesso di questa pena. David, voce narrante, racconta la vicenda per flashback, dopo vent’anni da quegli accadimenti. Non abita più a New York, è tornato in Colombia. Ha smesso di dipingere, è diventato quasi cieco. La lente di ingrandimento che utilizza per vedere quanto ancora gli occhi possano concedergli, si fa metafora della capacità di ri-vedere meglio (con nuova consapevolezza) il tempo trascorso, le tante piccole cose, i sentimenti, che l’hanno attraversato; il suo matrimonio con Sara durato cinquant’anni (desiderio? amore? dov’è che finisce l’uno e inizia l’altro?); la tragedia del figlio Jacobo, la vita e la morte che, nella scelta dell’eutanasia, si fronteggiano fino allo stremo. E poi l’arte, che per certi aspetti ‘spiega’ la vita, ne è conforto ed esaltazione. Questo racconta il romanzo di Tomás González. Ha il pregio di una scrittura semplice, il tono costante della ponderatezza, di chi intende dire ciò che non è affatto facile dire.
 
***

Quella notte passai molto tempo sveglio. Vicino a me, neppure Sara dormiva. Guardavo le sue spalle scure, la sua schiena, ancora snella a cinquantanove anni, e trovavo conforto nella sua bellezza. Ogni tanto ci prendevamo per mano. Nell’appartamento nessuno dormiva, nessuno parlava; a volte qualcuno tossiva o andava in bagno e poi tornava a letto. I nostri amici Debrah e James erano venuti a tenerci compagnia e si erano sistemati su un materasso in salotto. Venus, la ragazza di Jacobo, si era sdraiata nella sua stanza. Jacobo e Pablo, i miei figli, erano partiti due giorni prima in un furgone Rent-a-Car diretti a Chicago, dove avevano preso un aereo per Portland.
A un certo punto mi sembrò di sentire il debole suono della chitarra di Arturo, il terzo dei miei figli, nella sua stanza.
In strada risuonavano le grida notturne del Lower East Side, le solite bottiglie rotte. Alle tre del mattino, o giù di lì, passarono, rantolanti, due o tre motociclette degli Hells Angels, che avevano la loro sede a due isolati dal nostro appartamento. Dormii per quasi quattro ore di fila, senza sognare, finché alle sette mi svegliò una fitta d’angoscia nel ventre per la morte di mio figlio Jacobo, che avevamo programmato alle sette di sera, ora di Portland, le dieci di sera a New York.
 
Baciai Sara, mi alzai, preparai il caffè. Senza accorgermene, iniziai a guardare il quadro a cui stavo lavorando. Era ancora presto per chiamare i ragazzi, che si erano fermati per la notte in un motel vicino all’aeroporto di Portland. Il soggetto del quadro era la schiuma che forma l’elica del traghetto quando, lasciato il molo, il motore accelera nell’acqua verde che gorgoglia.
Il colore smeraldo dell’acqua mi era venuto pallido, superficiale, pensai, come una caramella alla menta vetrificata. Non ero ancora riuscito a fare in modo che, senza vedersi, senza che fosse troppo evidente, si percepisse la profondità abissale, la morte. La schiuma sembrava bella, incomprensibile, caotica, separata e inseparabile dall’acqua. La schiuma andava bene.
All’epoca di quel lavoro, cominciato un anno prima – nell’estate del ’98 – trascorrevo intere giornate sul traghetto, facendo continuamente la spola tra Manhattan e Staten Island, a volte bevendo birra, sempre guardando l’acqua. Ho persino fatto amicizia con alcuni musicisti ambulanti delle navi, e con un tale Louis Larrota (io lo chiamavo Luis Bancarrota, per prenderlo in giro, anche se lui non capiva la battuta, perché non parlava né spagnolo né italiano), l’unico lustrascarpe rimasto sul traghetto. Ancora oggi lo sento gridare, Shine! Shine!, per i corridoi della nave. Il lustrascarpe aveva sempre meno clienti, perché quasi tutti portavano ormai solo scarpe da ginnastica. Quando il tramonto attraversato dai gabbiani che ardeva dietro alle gru del New Jersey si spegneva, tornavo all’appartamento.
 
Mi sono sposato con Sara quando avevamo entrambi ventisei anni. Abbiamo vissuto insieme per cinquant’anni, fino a quando lei è morta per un problema al cuore due anni fa. Non ho mai conosciuto un’altra donna: lei è stata tutte. È complicato da spiegare e da capire, perché tutte le donne che ho desiderato e che non erano lei, quelle che non ho mai avuto, come le poche con cui sono andato a letto – senza che Sara lo sapesse, ovviamente, sennò sarebbe stata la fine – erano lei. Questi tradimenti sono successi solo durante i primi due anni, quando la relazione, ancora afflitta da vuoti e serie incomprensioni, doveva consolidarsi. Poi la mia fedeltà è stata totale e senza sforzo.
Ci sono stati tradimenti anche da parte sua, credo, però quelli che ci sono stati, se ci sono stati, sono accaduti molti anni dopo. Un pomeriggio, a New York, la vidi in una caffetteria mano nella mano con una collega di lavoro. Quella sera le chiesi spiegazioni e lei non negò né ammise; disse solo che i rapporti tra donne sarebbero sempre stati un mistero per gli uomini. Quella risposta non mi tranquillizzò, perché ci sono modi e modi di tenere per mano una persona, però me ne dimenticai, fino a un certo punto, con il passare degli anni.
La seconda volta è stato quando era in Giamaica con James e Debrah. Per qualche motivo io non potevo o non volevo fare quel viaggio e James si lasciò sfuggire un aneddoto con cui insinuava che Sara aveva avuto un’avventura con un ragazzo dell’isola. Glielo chiesi nuovamente, quella volta però mi rispose che ero pazzo, che come mi passava per la testa. Eppure, ancora oggi qualcosa mi dice che l’avventura ci sia stata. Sara era tutt’altro che timida, soprattutto se aveva bevuto un po’. Vero o falso che fosse, mi ha fatto male a lungo, e mi ha reso molto triste, però alla fine l’ho superata.
Gelosia, forse.
In ogni caso, solo la vecchiaia avanzata ha affievolito il desiderio che abbiamo sempre provato l’uno per l’altra. Non sono mai riuscito a distinguere l’amore dal desiderio, cosicché posso dire che ci siamo amati tanto per tutta la vita. Ero sempre felice di rivederla, anche se la separazione era stata di poche ore. Quando arrivavo a casa, di ritorno dal traghetto, lei era già rincasata dall’ospedale dove lavorava, parlavamo un po’ distesi sul letto; le raccontavo ciò che avevo visto nel mare, e poi andavo a vedere come stavano Jacobo e i ragazzi.
 
[da La luce difficile di Tomás González, trad. di Lorenzo Ribaldi, La nuova frontiera, 2024]
 
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Luigi Oliveto

Luigi Oliveto

Giornalista, scrittore, saggista. Inizia giovanissimo l’attività pubblicistica su giornali e riviste scrivendo di letteratura, musica, tradizioni popolari. Filoni di interesse su cui, nel corso degli anni, pubblica numerosi libri tra cui: La grazia del dubbio (1990), La festa difficile (2001), Siena d’autore. Guida letteraria della città e delle sue terre (2004), Giosuè Carducci. Una vita da poeta (2011), Giovanni Pascoli. Il poeta delle cose (2012), Il giornale della domenica. Scritti brevi su libri, vita, passioni e altre inezie (2013), Il racconto del vivere. Luoghi, cose e persone nella Toscana di Carlo Cassola (2017). Cura la ristampa del libro di Luigi Sbaragli Claudio Tolomei. Umanista senese del Cinquecento (2016) ed è co-curatore dei volumi dedicati a Mario Luzi: Mi guarda Siena (2002) Toscana Mater (2004),...

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