La “grammatica dell’interiorità” di Antonio Prete

Luigi Oliveto

28/04/2017

In questo spazio, nato per suggerire libri di narrativa e poesia, oggi viene fatta un’eccezione. Ma se ne capirà il perché. Il libro scelto è “Il cielo nascosto. Grammatica dell’interiorità” di Antonio Prete. Un testo di grande suggestione che fornisce una sorta di mappa per orientarsi in quel cielo nascosto che è dentro l’animo umano. Rileggendo pagine di letteratura, filosofia, teologia, psicoanalisi – e finalizzandole, appunto, alla compilazione di una “grammatica dell’interiorità” – Antonio Prete fornisce, non di meno, anche le parole giuste, un lessico per riconoscere ciò che ci accade dentro. Nei nostri interni d’anima dove – in forma spesso confusa, indecifrabile, sfuggente – risiedono i sentimenti, tormentandoci o meravigliandoci per come siano tra loro opposti, ambigui, mai certi, comunque sorprendenti. Un libro che ha la profondità del saggio insieme alla forza evocante del testo narrativo. Un libro in controtendenza e dunque provvidenziale nel tempo in cui la velocità, l’impoverimento della parola, il prevalere dell’utile sul disutile hanno pressoché annullato l’esercizio della riflessione, della profondità, dell’antico e saggio “conosci te stesso”. Ci è piaciuto estrapolare dal capitolo “Cura di sé e arte del vivere” una parte dedicata alla lettura, ritenendola quanto mai pertinente alle ragioni di questa rubrica.
 
La lettura è un ascolto silenzioso. Ed è uno degli esercizi consigliati nelle diverse varianti, antiche e moderne, della cura di sé. Ciascuno può riandare al tempo e al luogo in cui per lui è accaduto il passaggio dell'apprendimento del leggere – dell'unire le lettere in una pronuncia e la frase in una continuità di voce e di senso – all'atto dello sfogliare le pagine di un libro inseguendo il farsi di una storia. Per me l'inizio è una stanza, un grande tavolo in una stanza, e sotto il tavolo un piano che univa i suoi quattro piedi: il mobile déco, costruito da mio padre artigiano e maestro ebanista, permetteva a un bambino di rifugiarvisi non visto, e sottrarsi così, nei lunghi pomeriggi, ai vari richiami, anche della strada e degli amici. Il primo libro aveva per titolo Il piccolo romito: era, in traduzione italiana – lo avrei saputo molto tempo dopo – un adattamento per bambini del Robinson Crusoe, autore un canonico tedesco di primo Ottocento, Christoph von Schmid. Sarebbe seguito subito un classico della letteratura d'infanzia, Il piccolo Lord di Frances Burnett. Non posso separare quelle figure di personaggi bambini dalla penombra del mio provvisorio nascondiglio, né dal suono dei passi di mia madre che lasciava la cucina e le stoviglie e il camino per andare verso l'armadio situato nella stanza da letto, passando dinanzi al mio sottotavolo-rifugio. E risento, quando ci penso, le voci che salivano dalla strada, il grido di qualcuno che sul carro incitava il cavallo, lo sferragliare delle biciclette, le parole cantate dai ragazzi che nella bottega sottostante la nostra sala piallavano assi o inchiodavano sedie mitigando il rumore con le loro canzoni: All'alba se ne parte il marinaio, intonava qualcuno, oppure Sola me ne vo per la città. Sopra questi suoni, più forte di essi, la lettura apriva il suono di altri mondi. I suoni esterni non distraevano ma entravano tra le righe della scrittura, erano parte di essa. Leggere è legare lettere tra di loro, e allo stesso tempo trasformare la frase in immagine, in paesaggio, in situazione. Profumi, colori, sapori sono percepiti quasi fisicamente: tutto vive dinanzi a noi mentre leggiamo. Un mondo accade. Leggere è fare esperienza del tempo, della sua estensione: mentre leggiamo, il tempo sembra perdere la sua prima amara qualità, che è quella di essere irreversibile, e infatti quel che è scomparso riappare, quel che più non c'è torna a vivere, e persino ciò che non è ancora accaduto, e ciò che non può accadere, ha una presenza, una sua vita. Quel tempo finito può essere attraversato, ci si può soffermare in una stagione, indugiare in una giornata. O in un istante. Si può trascorrere lungo un tempo che non esiste neppure e che esiste soltanto per noi che stiamo leggendo. Si può attraversare lo spazio. La lontananza, quando leggiamo, non è schiacciata nella superficie visiva di uno schermo, dando l’illusione del qui e ora, come spesso accade con le tecniche visive della comunicazione, ma è attraversata nella sua profondità: è una lontananza che percorriamo, riempiamo di paesaggi, di oggetti, di figure. E questo perché nella lettura colui che legge non è uno spettatore, ma un soggetto attivo. Il lettore collabora con il farsi della scrittura, la scrittura vive del lettore, con il lettore, dentro i lettori.
 
[da Il cielo nascosto. Grammatica dell’interiorità di Antonio Prete, Bollati Boringhieri, 2016]
 
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Luigi Oliveto

Luigi Oliveto

Giornalista, scrittore, saggista. Inizia giovanissimo l’attività pubblicistica su giornali e riviste scrivendo di letteratura, musica, tradizioni popolari. Filoni di interesse su cui, nel corso degli anni, pubblica numerosi libri tra cui: La grazia del dubbio (1990), La festa difficile (2001), Siena d’autore. Guida letteraria della città e delle sue terre (2004), Giosuè Carducci. Una vita da poeta (2011), Giovanni Pascoli. Il poeta delle cose (2012), Il giornale della domenica. Scritti brevi su libri, vita, passioni e altre inezie (2013), Il racconto del vivere. Luoghi, cose e persone nella Toscana di Carlo Cassola (2017). Cura la ristampa del libro di Luigi Sbaragli Claudio Tolomei. Umanista senese del Cinquecento (2016) ed è co-curatore dei volumi dedicati a Mario Luzi: Mi guarda Siena (2002) Toscana Mater (2004),...

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