“La caffettiera di carta” (Bompiani) è un libro per chi ama scrivere e vuole imparare, traendo esempio da suggestioni, ma soprattutto letture mirate. Tanti consigli e tante parole finalizzate ad esercizi utili. Antonella Cilento oltre a essere una brava scrittrice, arrivò finalista allo Strega nel 2014 con “Lisario o il piacere infinito delle donne” (Mondadori), vincitore del Premio Boccaccio, è anche insegnate in un laboratorio di scrittura che tiene da 30 anni “Lalineascritta” e in occasione del trentennale ha deciso di rielaborare appunti ed esperienze per darci una testimonianza scritta del suo lavoro. “Un libro vita per mettere a punto un’esperienza di lavoro. Un lavoro immersivo nella scrittura e nei laboratori”, come dichiara in un’intervista l’autrice, tenendo a mente che “per scrivere storie non bisogna sembrare troppo intelligenti: bisogna giocare”.
Per i lettori ci sono indicazioni su come migliorare nella scrittura e nella elaborazione di un testo lungo, un romanzo, un genere che non tutti i principianti possono affrontare a cuor leggero. Soprattutto direi anche un laboratorio di letture, perché chi vuole scrivere deve leggere molto e i suggerimenti di Antonella sono molteplici e vari, dai classici come Balzac (il re del travestimento e il mago del disvelamento dei caratteri) e Cechov con la perfezione del racconto ad autori più vicini a noi: Perec, Annie Ernaux, e altre, molte infatti le donne scelte. Tante sono le insidie per chi si appresta ad affrontare l’opera e farlo con l’aiuto di una brava insegnante e di un gruppo affiatato fa la differenza. Questo lo vedo nel mio piccolo nei seminari che tengo da anni. Quindi complimenti al poderoso testo di Antonella Cilento. Scrivere richiede coraggio, richiede di vincere le proprie paure; occorre una grossa dose di determinazione e bisogna riuscire a tenere a freno il nostro censore interno e avere molta umiltà nel prendere in considerazione l’opinione e i suggerimenti degli altri. Ma scrivere è anche capacità di liberarsi dai blocchi mentali, attirare flussi di energia in noi stessi e nel nostro lavoro. Scrivere è fatica anche perché esige una scelta continua delle parole, delle frasi e poi via via creare i personaggi, valutare i tempi. Bisogna riscrivere, tagliare lavorare di cesello e di lima. E la cosa più affascinante dello scrivere è che la coerenza la si realizza durante il percorso.
“La ragione per cui alcuni di noi si sporcano le mani con i propri sogni e altri no, non è tutta nel coraggio di vedere l’errore, di perdere l’illusorio effetto della cosa sognata.
Un pianista senza allenamento quotidiano smette semplicemente d’essere un pianista. Chi scrive crede di poter ricominciare quando vuole: ed è vero, solo che si vedrà tutto il tempo in cui non ha tenuto pulito il canale dell’immaginazione, tutto il tempo in cui non ha fatto pratica”. Primo consiglio scrivete spesso e il più possibile
Tenendo sempre un quaderno a portata di mano, avendo la forza di non rispondere a una telefonata, di non farvi distrarre dal lavoro. Solo così vedremo la coda della balena. Cos’è la coda della balena? E quella che il turista sul motoscafo aspetta e aspetta e, quando sembra che le balene non debbano mai apparire, all’improvviso, ecco la visione. Prima un pezzo, poi un altro, poi una pinna, poi un occhio. La balena si mostra solo per piccoli dettagli, una breve scivolata di dorso, poi la coda. E infine scompare. E così per lo scrittore, occorre aspettare e scrivere. Le idee come le balene ci visitano ogni giorno, spesso più volte al giorno, parziali e luminose: il romanzo della nostra vita, la storia che cambierà la letteratura del secolo, un’intuizione su una certa persona, un’illuminazione sulle cose e come vanno... Non riusciamo ad arpionarle, non riusciamo ad afferrare la coda della balena. L’idea della balena è citata da Rosa Montero, “La pazza di casa”, ma la scrive santa Teresa di Lisieux: la pazza di casa ha bisogno di cure e attenzioni, “perché è il nostro antico dàimon, il demone che abita il nostro respiro e tiene viva la creazione. Ci aiuta a osservare e curare le nostre ossessioni”: per timore di rovinare l’idea magari rimandiamo la scrittura e come la balena appare in superficie solo in parte e lascia intuire la forma e la dimensione dell’animale intero, così l’immaginazione ci propone grandi visioni ma parziali e noi, distratti da quel che ci sembra più urgente, le lasciamo svanire.
Buttare giù il lettore con un sol colpo è lo scopo del racconto, mentre il romanzo, suggerisce Cortázar, può accumulare le giuste mosse, può vincere ai punti, quindi
un racconto deve avere un’idea forte. Scrivere un romanzo deve contenere l’azione, in cui è compresa l’azione narrativa: incipit, sviluppo e conclusione. Perché la storia racconta sempre una trasformazione, un cambiamento, gesti concreti. Odori, suoni, immagini. La riflessione nei romanzi è finzione, non porta avanti l’azione. Le storie iniziano quando l’equilibrio iniziale si rompe: allora è inevitabile cercare una soluzione, trovare l’oggetto del desiderio, scoprire la verità su quanto era nascosto. Una buona storia ha come primo obiettivo quello di affascinare e catturare il lettore, e dunque deve narrare un’evoluzione, questo è fondamentale. Scrivete una sintesi di dieci righe. Tutta la nostra storia può stare in dieci righe? Fare una sintesi stretta della trama ci consente di valutare cosa è un fatto narrativo e cosa non lo è, se i fatti sono in una efficace sequenza logico-cronologica, se cause ed effetti si verificano con precisione allora il romanzo funzionerà.
Inoltre Antonella Cilento sa con certezza che ogni episodio, ogni ricordo, si modifica e varia in funzione del tempo e dello spazio e soprattutto del punto di vista. Se cambia l’obiettivo, modifichiamo l’evento. Passano gli anni e dentro di noi l’episodio si trasforma con risvolti diversi. “Ci raccontiamo storie per giustificarci, per sopravvivere, per consolarci. Sulla memoria emotiva si fonda la memoria che usiamo per inventare storie, poiché a ogni svolta e per ogni personaggio noi riattiviamo questa memoria, proprio come fa l’attore quando interpreta sulla scena un personaggio cui può prestare un gesto, un ricordo, un comportamento, un dettaglio che ha fatto parte con evidenza emotiva della sua vita”.
Un suggerimento per creare personaggi memorabili? Attingere alle parti più scomode, meno presentabili, quelle che più ci spaventano di noi stessi senza cercare di fare sconti: scoprire che se i personaggi appaiono diversi dalla prima impressione affascina tantissimo chi legge. Per disegnare un personaggio completo, Robert McKee ricorre a uno schema per i livelli del conflitto: ogni personaggio ha almeno tre livelli di conflitto: con il suo corpo e la sua mente, cioè un conflitto interiore che talvolta si manifesta nel corpo; e con la sua famiglia, d’origine o acquisita. E poi un terzo livello, dove il conflitto si riversa nel rapporto con la società e con la natura. Ne “I quattro cicli”, Borges ci dice che esistono solo quattro storie al mondo: Una città assediata, ovvero l’Iliade. Un lungo viaggio per tornare a casa, ovvero l’Odissea. Un lungo viaggio per ricercare un oggetto magico, ovvero le Argonautiche. Un dio o un predestinato che muore per gli umani, ovvero Il Vangelo.
Questo libro si è rivelato una lettura divertente e appassionante con risvolti insoliti di romanzi smontati e rimontati per capire come funzionano, per scoprire tra l’altro che la struttura ad anello che caratterizza molte storie che iniziano dal punto di non ritorno sembra moderna e invece è antichissima: l’Odissea di Omero parte proprio in media res. E poi il protagonista rievoca la sua avventura per continuarla e portarla a termine dove tutto ha avuto inizio, ad Itaca. Molti gli esercizi per scrivere, curiosi, originali, anche se ovviamente scrivere nel corso di un seminario con un’insegnante è un’altra cosa rispetto a farlo da soli alla propria scrivania.
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