L'umanità del terzo millennio. Bruno Alfonsi e le novelle dei nostri tempi
07/02/2017
Lasciate ogni speranza o voi ch’entrate, ma preparatevi a ridere. Queste righe non sono l'incipit di un consiglio di lettura, né aspirano ad essere una recensione. Sono come un assaggio, uno sguardo privato tra le pagine della raccolta di novelle più interessanti che mi sia passata sotto mano ultimamente: "Novelle per il Terzo Millennio" di Bruno Alfonsi per Betti Editrice. Sia l'autore che l'editore sono senesi doc, ma in queste novelle non troverete le suggestioni dorate della Toscana da cartolina. Niente vigne, colline incantate e tramonti da sogno. Di toscana, anzi "toscanaccia", c'è la voce dell'autore che arriva dritta al cuore della questione, senza mai pontificare. Con una lingua tagliente, e a tratti giocosa, Bruno Alfonsi ci fa buttar giù diversi bocconi amari.
Le sue sono storie dei nostri tempi, per questo non possono che essere racconti di un'umanità in affanno, sempre in bilico tra miseria e aspirazioni, cruda realtà e sogni inconfessabili. Scordatevi la speranza, perché qui proprio non ce n’è. Però si ride, spesso e volentieri, complici di uno scrittore che ci riempie la bocca di riso e intanto ci scuote dentro, sotto la scorza, dove fa più male. Perché è impossibile non riconoscersi nell’umanità del Terzo Millennio di Alfonsi. Uomini e donne in balia dei propri istinti primordiali, delle proprie paure e debolezze. Uomini vittime di un gentil sesso cannibale, spesso acerbo e spietato. Un paradiso femminile che si trasforma in un inferno, a tratti esilarante. Uomini che ci fanno tenerezza e rabbia, ma che sentiamo vicini, uomini più umani. Maschile è femminile: in definitiva due facce della medesima misera medaglia. L'eros nelle Novelle del Terzo Millennio è potente. L'impulso satiresco è a tratti goliardico, a tratti grottesco. Ma questo è un amore che non salva, non consola. Sono amanti frustrati e beffati dal fato e dal grande calderone amoroso del nostro tempo, quello virtuale. Nel mare dei grigi impiegati, spalle curve con una pioggia di forfora, si nascondono gli avatar di irresistibili latin lover. Ci sono i precari, prototipo umano del nostro tempo. Giovani a cui si ruba energia, tempo e sogni. Giovani intrappolati in una realtà liquida la cui unica certezza è spesso proprio lo stato precario. E se si toglie quest'ultimo punto fermo cosa resta? Ironico e paradossale, il nostro precario senza precarietà perde la propria identità e non può che andare incontro ad un finale drammatico.
Nel terzo millennio sono tante le certezze che si sgretolano e con loro le grandi ideologie del passato. È la storia di Poggio al Cerro, comune degli uguali degli anni '70 che attraversa immutata i decenni fino alle soglie del Duemila, dove trova la propria fine per una banalissima gonna corta. C'è anche la lotta di classe, anzi la vendetta del contadino sul padrone usurpatore, nel Casino dei Nobili di Siena, che è in tutto e per tutto un siparietto teatrale, un po' snob, un po' proletario. C'è il trasandato professor Faust ingannato dall'allieva ninfetta, il rocambolesco inseguimento da poliziesco americano che risveglia in noi la memoria nera degli anni di piombo. Tutto si chiude con la storia di un condominio degli invisibili, un luogo non luogo, un rifugio per disperati dove ai conflitti personali si sommano quelli globali. Qui il vero protagonista è proprio il Grand Hotel de La Ville, contenitore di amori migranti, solitudini e sconfitte che piegano l'esistenza. Come una grande Cattedrale di Ken Follet, solo dei nostri tempi. Una chiusura che lascia presagire un nuovo inizio, forse di un romanzo. Bruno Alfonsi sembra aver imboccato un'altra strada rispetto alla novella. C'è da tenerlo d'occhio.
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