L'Incubo di una notte di mezz'inverno

Cristian Lamorte

31/01/2011

Metà gennaio, quella mattina la nebbia era così fitta da bussare alla finestra e io mi ero svegliato con una strana sensazione di dover fuggire in qualche modo dalle coperte e regalare alla testa un qualcosa di diverso dal cuscino. Fuggire dall’apatia di un reality show in televisione e regalarmi un’immaginazione. Fuggire dai sexgate nelle prime pagine dei giornali e regalarmi un’idea. Fuggire dall’incedere dei doveri e regalarmi il piacere di una riflessione. Quella strana sensazione era voglia di libri. Qualsiasi libro che fosse in grado di farmi pensare. Ecco, in definitiva, avevo voglia di pensare.
Quella mattina ero uscito presto di casa e la nebbia era così fitta da pesare sul mio cappotto mentre mi recavo in biblioteca. Dieci minuti a piedi e avrei varcato le porte della mia biblioteca di fiducia per il semplice fatto di essere l’ultima rimasta. Ad attendermi Mattia, il mio bibliotecario di fiducia, l’ultimo rimasto. E solo lui, tra l’altro, dentro quei locali piacevolmente vetusti. Meglio così - penso tra me e me – almeno non dovrò chiedere con il consueto tono sommesso di voce per non disturbare I silenzi di chi legge. Mi reco da Mattia fiducioso e incline ad una certa confidenza quasi fosse il barista o il ristoratore di fiducia: “Ciao Mattia, come va? Cosa mi consigli di leggere oggi? Ho voglia di pensare”. “Shhhhhh, non farti sentire – mi risponde quasi impaurito -. Ora ti porto qualcosa”. Solo il tempo di rimanere un po’ attonito e confuso dalla sua reazione che mi butta sul banco alcuni titoli, i più letti dell’ultimo mese: “Amore 28” di Federico Roccia, “Chanelle” di Alfonso Vecchiettini, “Il cuore e lo stuzzicadenti” di Marco Invespa e, infine, bestseller dell’ultim’ora, “Manuale per damigelle di corte” di Celine Mubarak. Beh, guardo Mattia e gli dico “Pensavo a qualcosa di diverso”. “Shhhhh, non farti senitre”, mi risponde quasi impaurito. “Ma che cosa non dovrei far sentire? E, soprattutto, chi può sentirci?” gli rispondo un po’ scocciato. Ecco allora che mi si avvicina all’orecchio e sussurrando mi dice: “Non usare più la parola pensare”. Non capisco ma mi getto tra gli scaffali della biblioteca e nel voler rassicurare Mattia mi lascio andare ad un “Ok, scelgo io”. Alla parola “scelgo” Mattia scappa via in magazzino.
Scaffale dopo scaffale, divisi per argomenti, non riesco a trovare niente che mi stuzzichi la mente. Nel reparto “viaggi” solo volumi con cartografie senza spazio al racconto. Nel settore “musica” solo spartiti. Nello scaffale “storia” solo gli accadimenti divisi anno per anno. Sotto il cartello “Filosofia” campeggiano solo piccoli bignami divisi per secoli e sul banco dei libri per bambini tante pagine scritte senza alcuna figura. C’è qualcosa che non va, comincio a pensare un po’ intimorito, ma confido nel reparto “Grandi Classici”. Vuoto. Completamente vuoto. Ora quel timore di Mattia alla parola “pensare” investe anche me. La mia, però, è la paura di non riuscire oggi a leggere e a pensare. Esco di corsa dalla biblioteca nella speranza perlomeno che, fuori, la nebbia pesante si sia diradata. Non era nebbia, ma fumo. Accanto alla biblioteca bruciano I libri lasciando un acre odore di censura.
E’ in quel momento che mi sveglio.
Era solo l’incubo di una notte di mezzo inverno. Allungo le mani sul comodino per prendere il primo libro. Esco di casa per sedermi in piazza sotto il sole a leggere e a pensare.

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