25/06/2012
Lo scorso maggio si contavano 450 anni dalla morte di Lelio Sozzini, teologo riformatore, persona di pensiero che molti e inquietanti pensieri dette all’Inquisizione, al punto da essere condannato come eretico. Stessa sorte avrebbe poi avuto il nipote Fausto per il suo impegno nel dare seguito alle idee dello zio. Personaggi scomodi, insomma, che ebbero difficoltà ad essere profeti non solo in patria ma anche altrove. Quanto ai sentimenti che intercorsero con la loro prima patria, quella senese, possono risultare eloquenti le vicende legate al quasi-monumento (due medaglioni con i volti di Lelio e Fausto) che nel 1882 un osteggiato comitato cittadino ottenne dal Comune di poter realizzare. Ne fu autore Arnaldo Prunai, giovane artista allievo di Tito Sarrocchi. Polemiche interminabili – sollevate dalle stesse componenti della città che si erano opposte all’erezione di un monumento dedicato ai Sozzini – nacquero pure quando si trattò di stabilire dove collocare i bassorilievi, finché fu deciso per le Logge di piazza Indipendenza. Là furono dunque posti il 29 maggio 1883 in occasione dell’inaugurazione del monumento ai Caduti per l’indipendenza italiana (quello opera del Sarrocchi) installato nella medesima piazza. Esodate ante litteram, le due opere si trovano oggi in una sorta di topografia dell’oblio. La donna del Sarrocchi raffigurante l’Italia vive ritirata in un’ansa del quartiere di San Prospero (la mano sinistra che regge lo scettro mostra chiari segni di artrite reumatoide). Le due facce di Lelio e Fausto Sozzini si guardano pensose e sconsolate da un fianco del palazzo di famiglia (lato via di Follonica) dove un inurbato smog fa ormai velo alla scritta che ricorda come essi «in tempi di feroce dispotismo risvegliarono con nuove dottrine la libertà del pensiero». Mentre sulla facciata principale dell’edificio, prospiciente via Pantaneto, una lapide (anche questa inizialmente doveva essere murata sul Palazzo Comunale) si diffonde nel ricordare come Lelio e Fausto Sozzini, «letterati insigni, filosofi sommi, strenui propugnatori della libertà di pensiero», siano stati «contro il soprannaturale vindici della umana ragione», nonché fondatori «della celebre scuola sociniana precorrendo di tre secoli le dottrine del moderno razionalismo».
Le parole sono pietre - Al di là delle enfasi scolpite sulla pietra meriterà ricordare chi furono veramente Lelio e Fausto Sozzini, il cui cognome troviamo talvolta indicato con le varianti di Sozini, Sozino, Socini o Socinus (fu Lelio a latinizzare il proprio cognome in questo modo). Lelio nacque a Siena nel 1525 con una impronta genetica che non poteva smentirsi: già il nonno, Mariano Sozzini (1397-1467) è ricordato come il primo libero pensatore della famiglia. Gli studi di Lelio non furono sistematici, ma spaziarono dalla giurisprudenza alle sacre scritture, all’ebraico, arabo, greco. Appena raggiunta la maturità si trasferì a Venezia. Cominciò a frequentare gli ambienti evangelici e a viaggiare in buona parte dell’Europa: Svizzera, Francia, Inghilterra, Paesi Bassi, Austria, Polonia. A Ginevra incontrò Calvino e tra i due nacque subito un’intesa, anche se in seguito sarebbero sorte, tra i due, divergenze su certe sottigliezze teologiche. Lelio, pur avendo fatte proprie le idee della riforma protestante, rifiutava il concetto della Trinità, riteneva Gesù Cristo solo un essere umano che bene incarnava la sofferenza dei poveri causata dai ricchi e dai potenti. Negava ogni forma di assolutismo riconducendo alla ragione anche la dimensione religiosa. A Basilea trovò consonanza di pensiero con un altro eretico senese, Bernardino Ochino (1487-1564, nato a Siena nella contrada dell’Oca e perciò detto Ochino) anch’esso importante riformatore italiano. Alla morte del padre, Lelio si trovò in serie condizioni finanziarie, poiché l’Inquisizione aveva sequestrato tutta l’eredità e fatto incarcerare a Roma il fratello Cornelio. Gli altri due fratelli (Celso e Camillo) ritenuti di fede luterana, erano dovuti fuggire da Siena, così come il nipote Fausto. Il 14 maggio 1562 – aveva solo 37 anni – Lelio morì a Zurigo nella casa di Hans Wyss, tessitore di seta.
Nascita e morte del “socianesimo” - Proprio il nipote Fausto raccolse il pensiero teologico dello zio elaborandolo ulteriormente in quella che sarebbe divenuta la dottrina del “socianesimo” e che, oltre al rifiuto del dogma trinitario e della divinità di Cristo, rigettò la dottrina del peccato originale, del potere dei sacramenti e la possibilità di una condanna eterna. L’attività teorica e predicatoria di Fausto si svolse prevalentemente in Polonia, ottenendo la riunione delle diverse componenti antitrinitarie polacche in un unico movimento che venne detto, appunto, “sociniano”. Avviò pure la redazione di un catechismo (il “catechismo racoviano”, dalla città di Rakòv), terminato poi dai suoi discepoli. Era il 3 marzo del 1604, quando morì nella città polacca di Luslawice. Il movimento ebbe vita breve. Nel 1610 giunsero infatti in Polonia i gesuiti a rimettere a posto le cose, costringendo i socianiani a convertirsi al cattolicesimo o ad andarsene. Alcuni entrarono a far parte della chiesa arminiana dei rimostranti olandesi, altri emigrarono in Germania e in Transilvania aderendo agli unitariani. La piccola comunità sociniana rimasta in Polonia si estinse definitivamente nel 1811, salvo qualche rigurgito nei primi decenni del Novecento. Da dopo la caduta del muro di Berlino, alcune centinaia di fedeli continuano, in Polonia, a riconoscersi nella Chiesa unitariana. Certo è che gli eretici ebbero sempre vita difficile, perché andavano a scombussolare certezze, apparati dottrinali (e più bieche cose terrene) che poi sarebbe stato difficile riordinare. Figuratevi che nel caso degli Sozzini si sosteneva la libertà di coscienza, una interpretazione delle Scritture conforme alla ragione, l’esistenza di un Dio Padre che ha messo indistintamente tutte le persone nella condizione di costruirsi la salvezza con le proprie scelte e prescindendo da mediazioni ecclesiastiche. Questo – insieme ad altre questioni dogmatiche che abbiamo prima richiamato – pensavano Lelio e Fausto. La riproduzione dei loro profili sui muri della casa natale a Siena ha la patina dell’età e delle idee che il tempo (al pari di un Tribunale inquisitore) inesorabile condanna.
Articolo pubblicato su Il Corriere di Siena domenica 24 giugno 2012
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Giornalista, scrittore, saggista. Inizia giovanissimo l’attività pubblicistica su giornali e riviste scrivendo di letteratura, musica, tradizioni popolari. Filoni di interesse su cui, nel corso degli anni, pubblica numerosi libri tra cui: La grazia del dubbio (1990), La festa difficile (2001), Siena d’autore. Guida letteraria della città e delle sue terre (2004), Giosuè Carducci. Una vita da poeta (2011), Giovanni Pascoli. Il poeta delle cose (2012), Il giornale della domenica. Scritti brevi su libri, vita, passioni e altre inezie (2013), Il racconto del vivere. Luoghi, cose e persone nella Toscana di Carlo Cassola (2017). Cura la ristampa del libro di Luigi Sbaragli Claudio Tolomei. Umanista senese del Cinquecento (2016) ed è co-curatore dei volumi dedicati a Mario Luzi: Mi guarda Siena (2002) Toscana Mater (2004),...
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