L’entusiasmo tra i giovani nell’epoca delle “passioni tristi”

Francesco Ricci

13/02/2017

I giovani non mettono entusiasmo in quello che fanno. Di più. I giovani hanno perduto ogni entusiasmo. Sono affermazioni, queste, che si sentono ripetere spesso al punto di essere divenute ormai un luogo comune, il quale ha il potere di tracciare una netta linea di demarcazione tra gli adolescenti (e i post-adolescenti) degli anni Sessanta, Settanta, Ottanta e quelli di fine vecchio e inizio nuovo Millennio. E più che indagare le ragioni profonde di questa assenza di entusiasmo – entusiasmo collettivo, entusiasmo individuale – molti sociologi e molti psicologi si concentrano sulla irreversibilità di questa trasformazione, che nei loro scritti pare assurgere al rango di pasoliniana “mutazione antropologica”, né redimibile né correggibile. Si deve prendere atto, altro non è possibile fare, che la nostra è veramente “l’epoca delle passioni tristi”, citando il titolo di un fortunato saggio di due psicoterapeuti, Miguel Benasayag e Gérard Schmit.

Ma le cose stanno veramente così? A essere chiamata in causa è la natura o non piuttosto la cultura dell’uomo? Occorre, in via preliminare, partire dal significato che la parola “entusiasmo” possiede in greco antico. Essa risulta composta dalla preposizione en e dal sostantivo theos, e suggerisce l’essere posseduto da un dio, l’essere ispirato da un dio, l’essere, ancor meglio, invaso dal furore di un dio. In tal senso il termine in origine era riferibile soprattutto all’indovino, al sacerdote, al poeta. In un’accezione figurata e non sacrale, invece, entusiasmo indica lo slancio irresistibile di chi è dominato da una forza esterna a lui (una persona, una causa, un ideale) che si converte in meta, in fonte del desiderio. L’entusiasmo, in sostanza, è in grado di convertire la passione – per qualcosa o per qualcuno – da elemento statico (io subisco la passione) a elemento dinamico (io tendo con forza e grandissima fiducia alla realizzazione di quanto costituisce l’oggetto della mia passione); è per questo che esso va considerato uno stato d’animo attivo.
L’entusiasmo è un fuoco che brucia nel profondo dell’uomo, donandogli calore e vita, ma, al pari di un fuoco reale, necessita di essere alimentato dall’ossigeno, altrimenti cessa di ardere e si spegne. E se la cenere della legna può servire a fertilizzare il terreno, la cenere degli entusiasmi estinti può solamente fare dell’esistenza un eterno rimpianto e un’apatica agonia. Per gli uomini – e in particolar modo per i giovani – questo ossigeno è il futuro, un futuro atteso e vissuto come occasione di crescita interiore e di realizzazione delle proprie aspirazioni. Oggigiorno, però, l’avvenire ha smesso di essere considerato un’opportunità, una risorsa, un’occasione, e si è trasformato in una delle tante “nuove paure” indagate dal grande antropologo francese Marc Augé. Né potrebbe essere diversamente, tenuto conto che il pianeta che abitiamo vede ormai esauriti numerosi giacimenti, lacerato lo strato dell’ozono, inarrestabile l’avanzamento della desertificazione, i ghiacci che si sciolgono, imponenti movimenti migratori di uomini in fuga dalla guerra e dalla povertà, la crescente minaccia di un terrorismo capace di colpire ovunque e, specie in Italia, un mercato del lavoro che non riesce ad accogliere i neodiplomati e i neolaureati, al punto che la percentuale di disoccupazione giovanile è ormai del 37,9% a fronte del 22% dell’Eurozona.Forse mai come oggi più che della morte si ha paura della vita e del domani, e quando si ha paura della vita e del domani è inevitabile che ogni entusiasmo languisca, scemi, scompaia.

In questo estinguersi dell’entusiasmo la scuola superiore, che ha a che fare con degli adolescenti, ha le sue colpe, in quanto del tutto prona ormai all’Università e partecipe, con questa e con la società, del processo di “maturazione accelerata”, come lo ha definito Umberto Galimberti, del giovane.  L’alternanza scuola-lavoro, da un lato, che ha un senso per gli istituti professionali ma non ne ha alcuno per i licei, l’anticipazione di alcuni test di ammissione universitaria all’ultimo anno di studi, dall’altro, prima cioè che il candidato abbia sostenuto l’esame di Stato, comportano due conseguenze, entrambe negative. La prima è quella di suggerire al giovane l’idea che lo studio possiede un valore meramente strumentale: si acquisiscono contenuti e competenze oggi (alla scuola superiore), da utilizzare poi (all’Università, prima, sul posto di lavoro, poi). E nessun sapere strumentale è mai stato in grado di suscitare un autentico coinvolgimento emotivo. La seconda è che più rare si fanno le occasioni – diminuendo le ore curricolari in classe – di incontrare un mondo, perché un artista o un filosofo o uno scrittore sono un mondo, capace di scuotere, di interrogare, di aiutare un ragazzo a comprendere quale sia la sua vocazione più intima, al di là delle pressioni esercitate dall’ambiente familiare e sociale. E così accade, a diciotto come a venticinque come a trent’anni, che si diventi estranei a se stessi, privi di risonanze emotive, incapaci di appassionarsi ad alcunché (di provare entusiasmo), avendo magari anche letto molto e di fretta, ma nessuna pagina avendo trasformato in uno sguardo nuovo sul mondo delle cose e degli uomini. Nel frattempo, i colloqui di lavoro si succedono infruttuosi, bene che vada si comincia a esercitare una professione di ripiego, si è costretti a prendere un aereo e a lasciare l’Italia. La corsa che abbiamo fatto, sacrificando il gusto del soffermarci a dialogare con testi e opere che sono, avrebbe detto Kafka, “la scure per il mare gelato dentro di noi”, alla fine si è rivelata una corsa che non conduceva da nessuna parte.
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Francesco Ricci

Francesco Ricci

(Firenze 1965) è docente di letteratura italiana e latina presso il liceo classico “E.S. Piccolomini”di Siena, città dove risiede. È autore di numerosi saggi di critica letteraria, dedicati in particolare al Quattrocento (latino e volgare) e al Novecento, tra i quali ricordiamo: Il Nulla e la Luce. Profili letterari di poeti italiani del Novecento (Siena, Cantagalli 2002), Alle origini della letteratura sulle corti: il De curialium miseriis di Enea Silvio Piccolomini (Siena, Accademia Senese degli Intronati 2006), Amori novecenteschi. Saggi su Cardarelli, Sbarbaro, Pavese, Bertolucci (Civitella in Val di Chiana, Zona 2011), Anime nude. Finzioni e interpretazioni intorno a 10 poeti del Novecento, scritto con lo psicologo Silvio Ciappi (Firenze, Mauro Pagliai 2011), Un inverno in versi (Siena, Becarelli, 2013), Da ogni dove e in nessun luogo (Siena, Becarelli, 2014), Occhi belli di luce (Siena, Nuova Immagine Editrice, 2014), Tre donne. Anna Achmatova,...

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