“L’amico ritrovato”: una storia di amicizia al tempo del Nazismo

Luigi Oliveto

29/06/2017

Da padre di adolescenti verso la fine degli anni Ottanta a nonno odierno, confermo, per esperienza diretta, quanto Paolo Di Paolo ha scritto recentemente su Repubblica aprendo un utile dibattito. Sono decenni che gli insegnanti suggeriscono ai ragazzi gli stessi libri da leggere nelle vacanze estive. Intendiamoci, grandi e ineccepibili classici quali sono i libri di Calvino, Levi, Salinger, Uhlman; ma probabilmente il canone novecentesco da proporre ai giovani potrebbe essere aggiornato, i professori – diceva giustamente Di Paolo – potrebbero osare di più.
I numeri sono comunque importanti. Solo per fare un esempio, nella prima settimana subito dopo la chiusura dell’anno scolastico, “L’amico ritrovato” di Fred Uhlman ha venduto oltre 1700 copie. Prima della fine dell’estate chissà quanti ragazzi, controvoglia o forse (lo spero) coinvolti emotivamente, apprenderanno la storia di quell’amicizia nata sui banchi di scuola tra due ragazzi: Hans, di origini ebree e Konradin, proveniente da una famiglia aristocratica tedesca. Siamo a Stoccarda negli anni dell’ascesa del Nazismo. I due ragazzi, molto diversi tra loro per carattere ed estrazione sociale, hanno in comune la passione per le monete antiche e la lettura. Saranno le vicende storiche a dividerli. Konradin interrompe le frequentazioni dell’amico per obbedire ai genitori, ferventi seguaci di Hitler; Hans fuggirà in America per salvarsi dalle persecuzioni razziali (i suoi genitori per sfuggirvi si suicideranno). A guerra finita, Hans scopre che Konradin era stato giustiziato, in quanto coinvolto nell’attentato contro Hitler. Il suo amico, dunque, non lo aveva rinnegato nei valori più importanti e condivisi. Saperlo morto in quel modo, è come ritrovarlo.
 
Passarono i giorni e i mesi, e niente venne a turbare la nostra amicizia. Dall'esterno del nostro cerchio magico provenivano voci di sovvertimenti politici, ma l'occhio del tifone era lontano: a Berlino, dove, a quanto si diceva, si erano verificati scontri tra nazisti e comunisti. Stoccarda continuava ad essere la città tranquilla e ragionevole di sempre. Per la verità, anche lì avvenivano di tanto in tanto degli incidenti, ma non erano che episodi di poco conto. Sui muri erano comparse delle svastiche, un ebreo era stato molestato, alcuni comunisti percossi, ma in generale la vita proseguiva come al solito. Gli Höhenrestaurants, il Teatro dell'Opera e i caffè all'aperto erano sempre gremiti. Faceva caldo, i vigneti erano coperti di grappoli e i rami dei meli si piegavano sotto il peso dei frutti in via di maturazione. La gente parlava delle località dove si sarebbe recata a trascorrere le vacanze estive; in casa mia si accennava all'eventualità di un viaggio in Svizzera e Konradin avrebbe raggiunto i suoi genitori in Sicilia. Insomma, tutto lasciava pensare che non ci fosse nulla di cui preoccuparsi. La politica riguardava gli adulti; noi avevamo già i nostri problemi. E quello che ci pareva più urgente era imparare a fare il miglior uso possibile della vita, oltre, naturalmente, a cercare di scoprire quale scopo avesse, se l'aveva, e a chiederci quale potesse essere la condizione umana in questo cosmo spaventoso e incommensurabile. Questi sì che erano veri dilemmi, quesiti di valore eterno, assai più importanti per noi dell'esistenza di due personaggi ridicoli ed effimeri come Hitler e Mussolini.
[…]
Esaminai l'intera lista, saltando a piè pari tutti i nomi che iniziavano per H e, giunto alla fine, scoprii che ben trentasei sui quarantasei studenti che componevano la mia classe avevano perso la vita per das 1000-jährige Reich. Deposi l'opuscolo e attesi. Aspettai dieci minuti, poi mezz'ora, senza lasciare con lo sguardo quelle pagine stampate che erano emerse dall'inferno del mio passato antidiluviano – presenze indesiderate – per turbare la pace del mio spirito, riesumando ciò che con tanto sforzo avevo cercato di dimenticare. Lavoricchiai, feci qualche telefonata, dettai un paio di lettere, senza riuscire a buttare via l'appello, né a trovare il coraggio di cercare l'unico nome che mi ossessionava. Decisi finalmente di distruggere quell'oggetto atroce. Volevo veramente sapere? Ne avevo davvero bisogno? Che importanza poteva avere che fosse vivo o morto, visto che, comunque, non l'avrei più rivisto? Ma ne ero proprio sicuro? Era davvero impossibile che la porta di casa si aprisse per farlo entrare? E non stavo già, in quello stesso istante, tendendo l'orecchio per cogliere il suo passo? Afferrai l'opuscolo con l'intenzione di stracciarlo ma, all'ultimo momento, mi trattenni. Facendomi forza, quasi tremando, lo aprii alla lettera H e lessi. "VON HOHENFELS, Konradin, implicato nel complotto per uccidere Hitler. Giustiziato."
 
[da L’amico ritrovato di F. Uhlman, trad. di Mariagiulia Castagnone, Feltrinelli, 2004]
 
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Luigi Oliveto

Luigi Oliveto

Giornalista, scrittore, saggista. Inizia giovanissimo l’attività pubblicistica su giornali e riviste scrivendo di letteratura, musica, tradizioni popolari. Filoni di interesse su cui, nel corso degli anni, pubblica numerosi libri tra cui: La grazia del dubbio (1990), La festa difficile (2001), Siena d’autore. Guida letteraria della città e delle sue terre (2004), Giosuè Carducci. Una vita da poeta (2011), Giovanni Pascoli. Il poeta delle cose (2012), Il giornale della domenica. Scritti brevi su libri, vita, passioni e altre inezie (2013), Il racconto del vivere. Luoghi, cose e persone nella Toscana di Carlo Cassola (2017). Cura la ristampa del libro di Luigi Sbaragli Claudio Tolomei. Umanista senese del Cinquecento (2016) ed è co-curatore dei volumi dedicati a Mario Luzi: Mi guarda Siena (2002) Toscana Mater (2004),...

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