19/02/2014
«Nelle biblioteche si entra gratuitamente, non vedo perché i musei, così come le chiese, debbano essere a pagamento». Tra il serio e il provocatorio, Tomaso Montanari, storico dell’arte e scrittore, non le manda a dire. Da tempo gira l’Italia, scrive sui giornali, spiega che il nostro patrimonio artistico e culturale deve essere vissuto come bene comune e non sfruttato a fini privati o, peggio, “di mercato”.
Stando alle ultime notizie, alcune sue dure prese di posizione contro il primo cittadino di Firenze, Matteo Renzi, per l’uso ai privati degli Uffizi e di Ponte Vecchio, gli avrebbero impedito la nomina ad assessore nella Giunta regionale della Toscana guidata da Enrico Rossi. Mentre proprio un suo intervento aveva scatenato a Siena, candidata a capitale della cultura europea 2019, polemiche roventi per il rischio di possibile uso privato dell’antico Spedale del Santa Maria della Scala quale sede di Eataly dell’imprenditore Oscar Farinetti. Da quel momento il sindaco Bruno Valentini ha deciso di avviare un dibattito pubblico sull’argomento.
Ma non è solo la Toscana. Negli esempi, sempre precisi e circostanziati, il professor Montanari fa un autentico giro d’Italia toccando Roma, Venezia, Milano, L’Aquila, Napoli, Firenze. Ma la prima tappa la dedica proprio a Siena e alla sua eclissi. Alla base c’è sempre lo stesso principio: in alcun modo il nostro patrimonio artistico deve considerarsi il “petrolio” della economia (in grado di produrre denaro e ricchezza) ma piuttosto una risorsa che da secoli serve a formare buoni e consapevoli cittadini «perché una Nazione più colta sarà per forza anche più ricca».
Il suo ultimo libro “Le pietre e il popolo” (Minimum fax editore) sta ottenendo un grande successo di pubblico, forse proprio perché rovescia il luogo comune ormai imperante della cultura come fabbrica di soldi, delle città come “luna park” per turisti e dei musei come “eventifici”, produttori cioè di falsi eventi culturali in grado di far arricchire solo gi organizzatori ma non di migliorare il livello di conoscenza di chi li visita.
«Siena segna una tappa di non ritorno di un pericoloso percorso di privatizzazione dei beni collettivi; e questa tappa parte dal Duomo. Per 900 anni, infatti, la Cattedrale era stata gestita dall’Opera della Metropolitana, nel tempo trasformata in onlus. Poi, è stato deciso di dotarsi di un concessionario privato che gestisse gli eventi culturali e di cedere così un ramo d’azienda, compresi i 12 dipendenti. Una decisione piuttosto oscura su cui è in corso una indagine della Procura di Siena. E così oggi il Duomo è diventata una macchina da soldi ma non con una ricaduta diretta per i senesi bensì per l’Opera Laboratori Fiorentini, che fa capo a Civita, società quasi monopolista in Italia in questo settore. E per calpestare il celebre pavimento intarsiato oggi occorre pagare un biglietto. I senesi per entrare nel loro Duomo sono così passati dallo status di cittadini a quello di client e il Duomo dei senesi è finito per generare un profitto privato».
Ma oggi ormai si paga in molte chiese, senza considerare i biglietti da pagare per visitare le mostre-evento che ogni anno vengono proposte. Che fare?
«Ogni volta dico ai miei allievi di fare un esercizio: per un anno non visitate chiese, musei o mostre a pagamento. Vedrete che rimane fuori la stragrande maggioranza del nostro straordinario patrimonio artistico e culturale e che può essere liberamente fruito da tutti, come è giusto che sia. Perché così hanno voluto i nostri padri costituenti che all’articolo 9 della Costituzione scrivono che va tutelato il paesaggio e il patrimonio artistico della Nazione e l’arte e che, sempre allo stesso articolo che la Repubblica promuove la cultura. Non credo sia un caso».
La gratuità di chiese e musei è una provocazione intellettuale? Come farebbero gli Uffizi senza un biglietto?
«La sfida che un grande museo, come gli Uffizi, deve vincere non è di quanti biglietti in più strappano al botteghino né se fa più o meno visitatori del Louvre (“I due musei hanno origini così diverse che non sono nemmeno paragonabili”) ma quella della sua tutela morale e immateriale. Quella della sua funzione educatrice rispetto al popolo fiorentino in primis e a tutta l’Umanità in generale, non certo quella di essere sfruttati, ad esempio per sfilate di moda, visite o cene esclusive. Una volta mi capitò di incontrare un’anziana maestra che mi raccontò come il padre, contadino anarchico mugellano, portandola la domenica con il vestitino della festa, a visitare gli Uffizi le dicesse ‘Sono tuoi, e sono sacri’».
Bello. Purtroppo oggi la cultura dominante sembra andare nella direzione opposta …
«Non dobbiamo rimanere indifferenti. È vero che questa generazione oggi al potere è cresciuta con la cultura che tutto è mercato, tutto è utile solo se produce denaro, ma è la prima volta nella storia dell’umanità che si parla di patrimonio artistico come di una “macchina per fare soldi”. E allora domando: soldi per chi? Per fare cosa? Visto che poi le chiese e i monumenti crollano sotto l’incuria mi domando dove finiscono i biglietti degli Uffizi che prima servivano a finanziare altri musei in Italia».
Occorre allora ricominciare con il formare in modo nuovo le giovani generazioni?
«Si, è necessaria una rialfabetizzazione culturale degli italiani; e si può ripartire dai più piccoli, tornare a spiegare l’arte ai bambini, con linguaggi semplici ma efficaci. Non importa, infatti, che sappiano chi è stato Giotto, quando e dove è nato, ma che imparino a riconoscere la Bellezza dovunque si annidi. Solo così, in futuro potranno proteggerla. Non si può amare e quindi difendere ciò che non si conosce».
Ma a lei, che potrebbe restarsene nell’alto della sua cattedra, insegnare e discettare di arte e pittori, chi glielo fa fare di diventare un militante della Bellezza?
«A volte me lo domando. Soprattutto dopo che per la vicenda della biblioteca dei Girolamini a Napoli cominciai ad avere minacce e telefonate anonime. Ma il vero problema è: noi storici dell’arte a cosa serviamo? È vero potrei rimanere nella mia torre d’avorio. Potrei voltarmi, come tanti, dall’altra parte, ma poi? Credo che tra i doveri di ogni cittadino ci sia quello di fare la propria parte, e quella dello storico dell’arte è insegnare l’arte del bello, insegnare a riconoscerlo, proteggerlo, tutelarlo. E, quindi, difenderlo ogni volta che viene messo in pericolo. È fondamentale che ognuno di noi torni alla militanza, a vigilare e denunciare se occorre, solo così potremo riprenderci lo Stato come collettività che oggi sembra solo un ostacolo da rimuovere, mentre invece è e rimane ancora il progetto fondativo della nostra idea di Comunità voluta dalla Costituzione».
E per le chiese a pagamento?
«Organizziamoci. Che succederebbe se in 50 o 100 si presentassero davanti al Duomo di Siena dicendosi contrari al pagamento del biglietto? Niente, sarebbero alla fine fatte entrare. Le piccole rivoluzioni iniziano anche così».
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Michele Taddei, giornalista, si occupa di comunicazione pubblica, socio fondatore di Agenziaimpress e Primamedia. Ha pubblicato “Siamo onesti! Bettino Ricasoli. Il barone che volle l’unità d’Italia” (Mauro Pagliai editore, 2010), "Scandalosa Siena" (Edizioni Cantagalli, 2013), "Cuore di Giglio" (De Ferrari editore, 2016), Siena bella addormentata (Primamedia editore, 2018), "Steppa...
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