La storia della musica a Siena ha un suo tenace cultore, Antonio Mazzeo, che nell’arco di quasi quarant’anni ha dato alle stampe ben ventitré titoli, riproponendo partiture, biografie, saggi su musicisti senesi, a partire dal Cinquecento per giungere fino ai giorni nostri. L’ultima pubblicazione (Edizioni Tipografia Senese, 2018) è una plaquette dedicata a “Laura Pollai. Soprano senese del 1900”, apprezzata cantante lirica ai primi decenni del secolo scorso. Laura, figlia di Ezio Pollai e Teresa Cioni, era nata a Siena nel 1897. Rimasta orfana di mamma, venne rallevata, a Pistoia, dalla zia paterna. Fu giusto la zia Ida ad avviarla allo studio del canto con il maestro pistoiese Carlo Carobbi, all’epoca uno degli insegnanti di maggiore prestigio in ambito toscano e non solo. Nel suo percorso di studio, la Pollai si avvalse, per un breve periodo, anche degli insegnamenti di Giovanni Pennacchio, direttore d’orchestra e compositore italiano, la cui notorietà si legò al completamento dell’opera “Edipo re” di Ruggero Leoncavallo e alle innumerevoli trascrizioni per banda (celebri i concerti della banda civica di Catania, diretta da Pennacchio, che agli inizi degli anni Trenta arrivarono a contare anche quindicimila spettatori assiepati nei Giardini Bellini). Nemmeno ventenne, Laura Pollai debuttò l’8 maggio 1919 nella “Bohème” al Politeama “Mabellini” di Pistoia. Nell’occasione la stampa parlò di “una Mimì deliziosa, piena di fascino e della più squisita poesia dalla prima fino all’ultima nota”; stupì la padronanza del canto, la “chiarezza, robustezza, pastosità di voce e vivezza di sentimento da sembrare un’artista provetta”. In quello stesso anno ebbe pure il plauso di Giacomo Puccini, che aveva avuto modo di ascoltarla a un concerto tenuto alla “Torretta” di Montecatini. Alla giovane soprano – come testimonia una rassegna stampa opportunamente sintetizzata da Mazzeo – furono, dunque, riconosciute fin dagli esordi indiscutibili doti e personalità. Giudizi che ad ogni esibizione andarono confermandosi, anche a fronte di prove artisticamente sempre più impegnative. Come quando, nel febbraio del 1921, al “Petruzzelli” di Bari interpretò Nunziatella nella “Lorenza” di Edoardo Mascheroni, diretta dallo stesso autore. Merita ricordare che Mascheroni – stimatissimo da Giuseppe Verdi, e grazie al quale aveva pure ricoperto il ruolo di direttore alla Scala – esigeva dai cantanti grande rigore e presenza scenica. Si desume che la Pollai non deluse il maestro “mostrando – leggiamo nelle cronache – “ottimi mezzi vocali così da essere attrice e cantante pregevole”. Un’altra prova importante si ebbe l’anno successivo al Teatro “Malibran” di Venezia nell’opera “Loreley” di Alfredo Catalani, dove la soprano senese interpretò “con grazia delicata” la dolce Anna, sposa promessa al sire Walter che, però, l’abbandona poco prima di condurla all’altare, perché segretamente innamorato della bella orfana Loreley. E giunsero ancora successi con l’arduo repertorio verdiano (“Rigoletto”, “Traviata”). La vita privata di Laura Pollai ebbe una svolta decisiva, allorché, durante una tournée in California, incontrò Mario Biagini, nativo di Viareggio. Fu amore a prima vista. I due convolarono felicemente a nozze e si stabilirono a San Francisco. In America, Laura si dedicò prevalentemente all’insegnamento. Formò numerosi cantanti, indirizzando alcuni di loro ai corsi di perfezionamento dell’Accademia Musicale Chigiana di Siena. Tra costoro il baritono di origini lucchesi Lorenzo Malfatti, che, a sua volta insegnante, suggerì a diversi allievi di studiare lirica in Italia (in memoria di Malfatti, c’è oggi a Lucca un’Accademia internazionale per giovani talenti della lirica). Laura morì a San Francisco il 5 marzo 1953 all’età di cinquantasei anni. Lasciò il marito, un figlio, qualche ritaglio di giornale. Come quello che la ricorda, giovanissima, cantare “con fine sentimento d’arte e con voce sicura e ben timbrata” la romanza “Ebben? Ne andrò lontana” dalla “Wally” di Catalani. Il cronista non manca di sottolineare gli “insistenti applausi” rivolti alla promettente soprano. Oggi, grazie al lavoro di ricerca di Antonio Mazzeo, al nipote Ezio Pollai che ha fornito il materiale documentario, l’eco di quei battimani è in qualche modo riemersa dall’oblio. Del resto anche la memoria chiude, talvolta riapre sipari. Per un doveroso supplemento di applausi.