Il soggiorno senese di Richard Wagner “Affascinato dal duomo fino alle lacrime”

Luigi Oliveto

20/12/2012

Tra le ricorrenze del prossimo 2013 si registra il bicentenario della nascita di Richard Wagner. La figura più rappresentativa del secondo romanticismo tedesco. Il riformatore del teatro musicale moderno, il precursore di un nuovo linguaggio musicale, che trasformò il pensiero musicale attraverso l’idea di “opera totale” portando a sintesi arti poetiche, visive, musicali e drammatiche. Wagner amò molto l’Italia e, in modo particolare, località come Napoli, Sorrento, Amalfi, Palermo, Venezia dove morì il 13 febbraio 1883. Solo tre anni prima, dal 24 agosto al 30 settembre del 1880, aveva soggiornato a Siena, ospite del barone Sergardi a Torre Fiorentina. In quella villa di origine settecentesca che Agostino Fantastici, nella prima metà dell’Ottocento, aveva ristrutturato in chiave romantica alla maniera di un castello neogotico.

Un letto comodo e del buon Chianti - Il soggiorno senese di Wagner ha, naturalmente, una sua aneddotica. A cominciare dagli aspetti logistici, allorché il Sergardi propose al suo ospite di occupare la camera dove aveva dormito anche Pio VI. Ma il musicista dinanzi al monumentale letto argomentò che quel giaciglio fosse talmente grande che poteva entrarci non solo il papa ma anche tutto lo scisma. Preferì, dunque, una camera di minor prestigio a tutto vantaggio della comodità. Wagner era venuto a Siena con la moglie Cosima e la figlia Eva. L’ospitalità dei Sergardi, discreta e premurosa, piacque molto alla famiglia tedesca. L’artista sedeva nella vasta terrazza della villa a riflettere e a comporre (i biografi parlano di dodici pagine giornaliere di partitura orchestrale). Passeggiava nel parco, si faceva servire il pranzo in giardino, all’ombra degli oleandri, gustando i piatti preparati dal cuoco Giovanni Jacopi, che per l’illustre convitato stappava rare bottiglie di Chianti. Per testimonianza diretta dello stesso cuoco, Richard abiurò la fede nella birra convertendosi al vino. Al punto che, anche di notte, Eva Wagner andava a bussare alla porta dello Jacopi perché il Maestro necessitava urgentemente di un cordiale, unica medicina per guarirlo dagli improvvisi malesseri cui era soggetto. Tra le storielle tramandate sul soggiorno senese di Wagner anche quella che il compositore avrebbe inserito in una sua pagina il motivetto popolare sentito fischiettare al postino che quotidianamente recapitava la corrispondenza a Torre Fiorentina. Non apprezzò, invece, la partitura della ‘Marcia del Palio’ che il maestro Pietro Formichi si era premurato di fargli recapitare. Quelle ingenue ma sincere note furono rispedite al mittente senza alcun commento, forse con un eccesso di supponenza e maleducazione.

Le suggestioni del Duomo - D’altra parte il lipsiano aveva ben altro per la testa. Stava lavorando al ‘Parsifal’. Passeggiava nei vialetti di Villa Sergardi rimuginando su parole quali: “Sia benedetta la tua sofferenza, / che donò la forza suprema della pietà / e il potere della conoscenza più pura / al folle incerto!”. E giusto nel ‘Parsifal’ si vuole che sia segnata la memoria wagneriana dei giorni senesi. Spesso, da Torre Fiorentina, si vedeva partire la carrozza con la famiglia Wagner diretta in città. Tra le mete ricorrenti la Cattedrale, della quale il musicista disse di esserne “rimasto affascinato fino alle lacrime”, così da immaginare nell’interno del Duomo di Siena, proprio la scena del ‘Parsifal’ detta dell’Agape. Il musicista fece venire a Siena l’amico pittore e scenografo Paul Joukowski e gli chiese di disegnare il settore della cupola del duomo di Siena per poterla poi ricostruire nelle scenografie del teatro di Bayreuth. Sul libretto dell’opera, nelle note di scena, si legge: “A poco per volta, mentre Gurnemanz e Parsifal sembrano camminare, la scena si cambia insensibilmente da sinistra verso destra. Scompare così la foresta. Una porta, che s’apre nelle pareti della roccia, accoglie ora tutti e due. Poi si fanno nuovamente visibili su per sentieri in salita, che hanno l’apparenza di percorrere. Lunghi squilli di tromba ondeggiano miti per l’aria. Concerto di campane che s’avvicina. Finalmente sono giunti in una gran sala, che si perde verso l’alto in una cupola assai elevata, per la quale soltanto penetra la luce. Dall’alto, sopra la cupola, si ode un crescente scampanio. A ciascuno dei due lati del fondo viene aperta una gran porta. Dalla destra entrano i Cavalieri del Gral in solenne corteo, e, durante il canto che segue, si dispongono in fila a poco per volta, presso due lunghe tavole apparecchiate. Esse sono messe in modo che, correndo parallele dall’indietro verso l’avanti, lasciano libero il mezzo della sala. Su di loro, nessun piatto; coppe soltanto”.

Caro Ludwig ti scrivo - Ancora da Siena, in data 28 settembre 1880, Wagner scriverà a re Luigi II di Baviera, suo grande sponsor, confidandogli alcuni pensieri a proposito dell’allestimento delle proprie opere fino allora “date in pasto alla prassi dei teatri e dei pubblici, da me ritenuta profondamente immorale; tanto che ora debbo seriamente chiedermi se non sia necessario che io preservi almeno quest’ultimo e più sacro dei miei lavori dalla medesima sorte di una comune carriera operistica”. In altre parole a Wagner non pareva consono che un’opera come ‘Parsifal’, dove “si svolgono apertamente sulla scena i più sublimi misteri della fede cristiana”, venisse rappresentata sugli stessi palcoscenici “sui quali ieri e domani si dispiega comodamente la frivolezza, e dinanzi ad un pubblico, che si lascia attrarre soltanto dalla frivolezza”. E poiché ‘Parsifal’ era un ‘Bühnenweihfestspiel’, un ‘mistero scenico’, Wagner spiegava a re Ludwig che l’unica scena a cui poteva consacrarlo sarebbe stato, appunto, il suo Bühnenfestspielhaus a Bayreuth: “Soltanto ed esclusivamente là dovrà rappresentarsi il ‘Parsifal’ in ogni tempo futuro; […] e l’unico pensiero che ora mi occupa è il far sì che ciò avvenga, e il trovare i mezzi per assicurare questo destino alla mia opera. Ogni giorno è per me come se scrivessi il mio testamento!”.

Erano dunque questi i pensieri del compositore tedesco immerso nella quiete di Torre Fiorentina. Durante la sua permanenza a Siena, Wagner ricevette anche molte visite illustri, tra cui quelle di Liszt e Rubinstein. Volle condividere con loro le emozioni suscitate dalla vista del Duomo. Le firme congiunte di Wagner e Liszt si leggono sui registri della cattedrale. Nel 1953, per il settantesimo anniversario della morte del musicista, era stato progettato di rappresentare ‘Parsifal’ dinanzi al Duomo di Siena. Ma fu poi realizzato? Il bicentenario della nascita potrebbe essere una seconda opportunità.

Articolo pubblicato su Il Corriere di Siena del 20/12/2012

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Luigi Oliveto

Luigi Oliveto

Giornalista, scrittore, saggista. Inizia giovanissimo l’attività pubblicistica su giornali e riviste scrivendo di letteratura, musica, tradizioni popolari. Filoni di interesse su cui, nel corso degli anni, pubblica numerosi libri tra cui: La grazia del dubbio (1990), La festa difficile (2001), Siena d’autore. Guida letteraria della città e delle sue terre (2004), Giosuè Carducci. Una vita da poeta (2011), Giovanni Pascoli. Il poeta delle cose (2012), Il giornale della domenica. Scritti brevi su libri, vita, passioni e altre inezie (2013), Il racconto del vivere. Luoghi, cose e persone nella Toscana di Carlo Cassola (2017). Cura la ristampa del libro di Luigi Sbaragli Claudio Tolomei. Umanista senese del Cinquecento (2016) ed è co-curatore dei volumi dedicati a Mario Luzi: Mi guarda Siena (2002) Toscana Mater (2004),...

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