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Il segreto del Gran Maestro. Il romanzo sulla massoneria e sull’Italia dei poteri occulti

Nobody is blameless (nessuno è senza colpa). Può essere affidato a questa semplice frase – una sorta di sentenza riguardante l’essere umano – il senso intrinseco del libro “Il segreto del Gran Maestro” (Chiarelettere) del giornalista Gianluca Barbera, un romanzo sulla massoneria e sull'Italia dei poteri occulti capace di tenere insieme la precisione della ricostruzione storica con la tensione del thriller, con uno stile che non sempre rende semplice distinguere il confine tra la realtà e la fantasia.

L’escamotage narrativo che consente all’autore di ripercorrere la storia della Repubblica attraverso la lente dei misteri italiani è un’intervista che l’ormai anziano Maestro Venerabile Licio Gelli (nel libro chiamato solo G.) concede al giornalista d’inchiesta Marco Sangiorgi, impegnato a girare un docufilm per una paytv su di lui e sulla Loggia Propaganda 2. I due si incontrano a Villa Wanda, nella quiete dei colli aretini, dove G. vive da anni sospettato dei delitti più atroci e dei complotti più oscuri eppure in grado di superare, quasi indenne, processi e indagini (G. era stato accusato dei più atroci delitti. Non aveva pagato un conto troppo salato. Qualcosa o qualcuno lo aveva sempre protetto, aveva vegliato su di lui e lo teneva ancora al comando).

G. è l’uomo dei misteri, il gran burattinaio; la sua ombra risulta invischiata nei peggiori scandali e fatti di cronaca della storia repubblicana: il tentato golpe Borghese, l'eversione di Gladio, il crac del Banco Ambrosiano, la strage di Bologna, la morte di Roberto Calvi. Il vaso di Pandora si scoperchia la mattina del 17 marzo 1981 quando le forze dell'ordine si trovano ad indagare sull'omicidio dell'avvocato Giorgio Ambrosoli e sul presunto rapimento del finanziere siciliano Michele Sindona, ma di lì a poco si troveranno tra le mani documenti riservatissimi che svelano le ramificazioni della loggia P2 in tutto il mondo e l’elenco degli affiliati, tutte personalità ai massimi livelli delle istituzioni e della società civile: capi di Stato, autorità religiose, politici, alti ufficiali, industriali, professionisti, giornalisti.

Quello che emerge dal confronto serrato tra Sangiorgi e G. nonché dai racconti del suo avvocato Giorgio Della Valle e di un suo amico di infanzia nonché ex commilitone di Gelli, è un quadro a dir poco sconvolgente. Con una narrazione avvincente, l’autore porta il lettore faccia a faccia con una rete di pressioni e controspionaggio finalizzata al controllo di tutti gli apparati statali. Si delinea così l’effettiva entità eversiva della Massoneria, una tentacolare associazione colma di segreti inviolabili e patti invisibili che hanno condizionato le più importanti decisioni politiche e non solo degli ultimi settant’anni (…la massoneria è sempre stata qualcosa che si contrappone allo Stato, una sua antagonista. Una sorta di potere alternativo, spesso trasversale, sotterraneo, settario, transnazionale, capace di creare tra gli affiliati una relazione più forte di quella che li lega alla nazione di appartenenza, perfino alla propria professione. Affarismo e complotti contro l’ordine democratico”: cosi potremmo denominare oggi la massoneria, o quel che ne rimane; anzi, quel che e diventata. E cosi l’ha sempre intesa G. Resta ben poco degli ideali originari, della sua “aura magica”, se vogliamo. Resta la volontà di sostituirsi, occultamente, al potere ufficiale, legittimo, democraticamente eletto, manovrando in modo sotterraneo, grazie ai forti legami e intrecci tra cariche dello Stato, potere finanziario e servizi segreti più o meno deviati…).

Perché in Italia tanti misteri? Chiede Sangiorgi a G. (e a se stesso). La risposta è emblematica: Credo per una predisposizione del nostro carattere. Nascondiamo anche quando non serve. Ce lo insegna la storia. Medioevo. Rinascimento. Antica Roma. Chi ha conosciuto più complotti di noi? Il bisogno di credere che qualunque cosa avvenga sia il risultato di diretti interventi occulti di alcuni individui e potentati non è altro che una forma nuova di teismo, oltre che un sintomo di immaturità e arretratezza personali e sociali, riducendo fenomeni complessi alla tipica situazione da capro espiatorio. Pier Paolo Pasolini lo disse ancora più chiaramente: il complotto ci libera dal peso di avere a che fare con la verità. Del resto, dopo il colpo di scena finale, una scomoda considerazione rivela un’altra predisposizione del nostro carattere: A nessuno interessa la verità. O comunque a pochi. Preme solo sapere da che parte stai (…). In questo G. aveva avuto ragione (dovevo saperlo), tutto finì dimenticato in fretta. Sostituito da altro, dalla necessita che abbiamo tutti di correre qua e là, scandalizzandoci per qualcosa di nuovo, che prenda il posto del vecchio.

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