Erano 12 anni che Jane Campion (Palma d’Oro a Cannes) non realizzava un film. Fatta eccezione per la serie “Top of the Lake”. Da “Ritratto di signora”, alle figure degli scrittori Janet Frame (“Un angelo alla mia tavola”) e John Keats (“Bright Star”), il cinema di Jane Campion si confronta anche questa volta con la letteratura, trasponendo in serie “Il potere del cane” di Thomas Savage. Avevo letto questo libro qualche anno fa e ne sono rimasta folgorata, come dichiara anche Jane Campion, per questo ho pensato di confrontare il punto di vista femminile della regista su una storia molto maschile, già dall’ambientazione western.
Jane Campion cerca lo scarto con il romanzo, che è più evidente nel far emergere il tema della passione e della morte, ma al tempo stesso la regista ne è così presa che non riesce a liberarsene. Nel film c’è un forte senso di ambiguità caratterizzato dai volti che emergono dal buio con forti contrasti. Un erotismo che pervade alcune scene e finanche gli oggetti, a cominciare dal fazzoletto di uno dei protagonisti, ricordo di un amico e maestro di vita. Il non detto nel film risulta più importante dei dialoghi e il paesaggio è fondamentale riscontro delle vite. L’unica donna è Rose, gestisce con il figlio una locanda e sposa uno dei due fratelli. Dopo quell’incontro si rompe l’equilibrio dei due. Phil il duro vessa la cognata, costringendola con le sue angherie a rifugiarsi nell’alcool, ma Rose capisce che Phil ha un lato vulnerabile e inconfessabile. Il suo lato femminile è molto forte, anche se nel romanzo la tensione omoerotica è più sfumata (quando è uscito il romanzo, nel 1967, la sodomia negli Usa era ancora un reato). All'epoca il romanzo non era conosciuto dalla massa, ma Annie Proulx, autrice di “Brokeback Mountain”, attirò l'attenzione sull'opera con una postfazione per una riedizione. Ora Jane Campion l'ha riadattato in un film per Netflix. La versione cinematografica ruota intorno alla base della trama del libro e agli stessi personaggi e trasmette la stessa tensione del testo di Thomas Savage. Un bellissimo film in poche parole.
“Il potere del cane”, ripubblicato nel 2016 da Neri Pozza, è un romanzo di notevole spessore, caratterizzato da un’introspezione psicologica molto accurata e ambientazione attenta ai dettagli. Ricco di sfumature, ma serrato nella trama, è un libro che non si dimentica: una scrittura che ci cattura nel vortice delle passioni: gelosia, invidia, odio che si manifesta contro se stessi e verso tutti coloro che trasgrediscono le regole, dove la “gentilezza” viene calpestata continuamente, ad ammonimento per tutti di restarne alla larga. Il romanzo, come il film, racconta le vicende intorno agli anni Venti di una famiglia di bostoniani trasferiti nel Montana. I genitori, chiamati dai figli i vecchi signori, continuano a comportarsi da snob e raffinati in un ambiente estremo, lontanissimo dalla loro cultura ed educazione. Non si capisce perché abbiano deciso di trasferirsi in una zona così impervia e remota. La seconda generazione è composta dai due figli maschi Phil e George che si adeguano apparentemente bene al territorio e si trasformano in bravi e ricchi allevatori. I due fratelli hanno personalità opposte, l’uno brillante, simpatico e amato da tutti, abile anche nelle attività manuali, intelligente, ma comunque solitario. George, inetto, imbranato, scarsamente dotato in ogni senso, ma “gentile”, affidabile. Mentre Phil è fiero della sua capacità di entrare in relazione con i cowboy del ranch, trova che qualcosa li metta invece a disagio con il fratello. La situazione prenderà un risvolto inatteso quando George deciderà di sposare la vedova di un medico “gentile”, che si è suicidato perché oppresso dalle dicerie sul figlio e incapace di reagire da “uomo”, come la realtà del luogo esige. È stato proprio Phil a maltrattare e insultare il dottore ubriaco.
Il romanzo è disseminato di ritratti che mostrano la grande capacità dell’autore di mettere a nudo le vite interiori, di scavarne l’anima, fino a renderla trasparente e ci conduce a condividere il punto di vista dei vari personaggi, compresi quelli che appaiono più malvagi, inopportuni o inetti. Il paesaggio non fa da semplice sfondo narrativo, ma diventa a momenti protagonista e determina i caratteri e i comportamenti degli abitanti. Chi sopravvive a un ambiente così duro deve adattarsi o soccombere, come avviene per il medico gentile o la famigliola di indiani che scappa dalla riserva per rivedere i pascoli da cui è stata estromessa, solo per ritrovare un pezzetto della propria identità e di un passato in cui era libera e fiera. L’autore attinge a piene mani alla sua esperienza autobiografica di figlio di ricchi allevatori, e a sua volta mandriano, domatore di cavalli, conoscitore del paesaggio estremo del Montana, ma capace di cogliere le sfumature sottili fra praterie e cieli, vento e sole accecante d’estate. La gente del luogo ne ama l’azzurra foschia autunnale e i pascoli che si estendono all’infinito. Il personaggio di Phil, affascinante e crudele, è stato costruito su alcuni elementi di uno zio acquisito Ed, che tormentava sua madre, odiava la sorellastra e faceva di tutto per distruggere psicologicamente la madre dell’autore.
Leggendo questo romanzo non si può non ripensare a un altro grande titolo, più recente, “Il figlio” di Philip Meyer, da cui è stata tratta un’altra serie televisiva. La saga di una grande e potente dinastia di texani di origine scozzese che l'autore propone sotto forma di diari, scritti in periodi e momenti diversi, dal patriarca, il "Colonnello". L’autore de “Il figlio”, deve aver avuto presente “Il potere del cane”, anticipatore di tematiche che verranno messe a fuoco e accettate in tempi più vicini a noi, tempi in cui l’America mostra senza infingimenti tutta la ferocia con cui è stata costruita la sua potenza, Come ne “Il figlio”, anche qui c’è un incipit forte: “Era sempre Phil a occuparsi della castrazione; prima tagliava via la sacca dello scroto e la buttava da parte; poi strizzava uno dopo l’altro i testicoli, incideva la guaina che li racchiudeva, li strappava e li gettava nel fuoco… dopo qualche istante i testicoli scoppiavano come enormi popcorn”. Una magistrale epifania che alla luce della narrazione chiarirà perfettamente la tragedia che si sta preparando.
Il titolo del romanzo assume più livelli di significato. A cominciare dai numerosi cani presenti e visti come essenze della solitudine dei luoghi, ma anche come elementi del paesaggio. Infatti si può scorgere nelle colline un contorno che mostra la figura di un cane, Phil riesce a vederlo ma suo fratello George no. E così Phil distingue fra coloro che vedono questo elemento e la maggioranza che non distingue, considerate da lui come persone prive di intelligenza e perspicacia. Il cane pronto all’inseguimento avrebbe raggiunto la preda, così andava il mondo. Però nonostante quel cane fosse sotto lo sguardo di tutti, solo una persona era riuscito a vederlo e questo apprezzava in colui che gli somigliava e che voleva essere come Phil. Ma soprattutto il titolo deriva dal “Book of common Prayer”: Libera l’anima mia dalla spada e il mio amore dal potere del cane. Frase che è collocata come un ammonimento prima dell’inizio, in apertura del libro.
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