Il Palio per fare gli italiani

Roberto Barzanti

14/08/2024

Fatta l’Italia, bisognava fare gli italiani, costruendo un sentimento di appartenenza nazionale. Le migliaia di sagre e festicciole, che esaltavano le storie di città e piccoli centri andavano usate come canali preziosi per celebrare il Regno alfine raggiunto. L’arduo compito fu affidato al ministro dell’Interno Marco Minghetti, esponente della Destra, cavouriano e sensibile decentralista. Il 6 maggio 1861 emanò una circolare che è un capolavoro di diplomatica sottigliezza: ogni anno i Comuni avrebbero dovuto organizzare, la prima domenica di giugno, “una festa nazionale commemorativa dell’Unità d’Italia e dello Statuto del Regno”. “A ciò – aggiunge – contribuirà ancora la disposizione per la quale ogni altra festa, la cui spesa fosse obbligatoria a carico dei municipj, rimane soppressa. Sarà bene pertanto che questi altri esercizj e solazj che solevano praticarsi in altri periodi dell’anno si riversino in quelli della Festa nazionale».
 
A Siena il severo ordine suscitò un vespaio di polemiche. I Palî erano due da secoli! Si sarebbe dovuto addirittura abolire il Palio di luglio, che ormai faceva coppia con quello del 16 agosto, dedicato all’Assunta. A metà Seicento la devozione popolare dette vita ad un altro Palio, divenuto identico all’antenato, sì da delineare un vero e proprio sistema non modificabile a piacere. Il drappellone, cioè il premio consegnato alla Contrada vincitrice a luglio nella carriera dedicata alla miracolosa Madonna di Provenzano, veniva spesso addirittura ricorso, cioè rimesso in palio nella successiva contesa di mezz’agosto. Una parte del ceto aristocratico, influenzato dalla potente Massoneria, considerava troppo invadente la presenza della Chiesa. Il rischio era che si prendesse spunto dalle direttive ministeriali per trasformare il Palio canonico in Festa dello Statuto, cambiandone data e sostanza.
 
Non si deve credere che la tradizione delle Contrade fosse apprezzata in tutti i suoi aspetti e da tutti. L’irruenza plebea di queste spontanee corporazioni urbane, becera e fragorosa soprattutto nella consuetudine dei cortei e delle onoranze tributate lungo l’anno al Santo protettore di ognuna a suon di litigiose burle plateali, suscitava anche infastiditi attacchi. “Povera Repubblica Senese – si leggeva su Il Libero Cittadino – se avesse dovuto mantenersi in potenza e fama con le Contrade di oggi! Sarebbe stata fresca...”. A occupare la scena sembrava fossero ormai “tre cose: palio, chiesa, e fiasco, il quale ultimo (pare incredibile!) nelle masse popolari trova una necessaria connessione con la seconda”. A queste scomposte critiche le Contrade reagirono difendendo i loro diritti “consacrati da secolari consuetudini”.
 
Le divisioni si acuivano assumendo perfino i colori dell’araldica contradaiola a pretesto per inneggiare a preferenze e idealità. Il tricolore bianco-rosso-verde dell’Oca era applaudito con fervore patriottico. Il rosso della Torre era benvoluto a chi si batteva per il progresso e l’eguaglianza. Il compromesso si trovò spostando la data del Palio di luglio, che nel 1861 fu anticipato al 2 giugno e, manco a farlo apposta, trionfò l’Oca. Per inquadrarlo in un’atmosfera consona con le prescrizioni ministeriali la mattina una gran Messa Militare, con l’intervento di tutte le autorità, fu inscenata alla Lizza. Presenziarono pure la Società degli operai e le rappresentanze delle Contrade. Unica assenza da molti maldigerita l’effigie della Madonna nel drappellone, sostituita dallo stemma del Comune, la bianconera “balzana”. Il gonfaloniere Tiberio Sergardi, massone della loggia Arbia, era in cuor suo più che soddisfatto.

La sorte volle che il 16 agosto vincesse la Tartuca, che a causa dell’austriacante giallo e nero delle sue bandiere, era di norma sonoramente fischiata: ebbe la meglio con un magnifico baio e il lesto Mario Bernini detto Bachicche. Aveva avuto l’accortezza di cambiare i colori, togliendo il nero e mettendo il celeste accanto al giallo oro. La corsa fu disputata solo da otto delle dieci Contrade in gara. L’Oca non poté neppure prender parte alla carriera perché non riuscì a condurre al canape della mossa il proprio cavallo “inferocito come lo avevano – si legge nel rapporto del Prefetto –, con le sostanze spiritose”. Una vendetta del destino? Il 1861 fu un’annata di passaggio.
 
Il tentativo di pasticciata laicizzazione fu respinto e dal 1863 l’icona della mutila Madonnina di Provenzano ricomparve nel serico stendardo alla data tradizionale del 2 luglio. Il Palio era già una festa nazionale e locale, contrassegnata da fanatici particolarismi e rispecchiava nell’intreccio spettacolare di esibita religiosità e raggiri del potere i caratteri della tumultuosa storia di una città molto italiana.
 

Articolo pubblicato sul Corriere Fiorentino del 14 agosto 2024, ripubblicato per gentile concessione dell’autore
 
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Roberto Barzanti

Roberto Barzanti
è un politico italiano. È stato parlamentare europeo dal 1984 al 1994, dal 1992 ha ricoperto la carica di vicepresidente del Parlamento europeo. Dal 1969 al '74 è stato sindaco di Siena. Dal 2012 è presidente della Biblioteca Comunale degli Intronati di Siena. Ha pubblicato "I confini del visibile" (Milano, 1994) sulle politiche comunitarie in tema di cinema e audiovisivo. Suoi saggi, articoli e recensioni tra l'altro in economia della cultura, il Riformista, L'indice dei libri del mese, Gli argomenti umani, Testimonianze, Gulliver, Il Ponte, rivista quest'ultima della cui direzione è membro. Scrive per Il Corriere Fiorentino.
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