24/02/2014
In Toscana. Un viaggio in versi con Mario Luzi. Questo il titolo del documentario, prodotto da Videodocumentazioni Siena con il contributo della Regione Toscana, ideato da Marco Marchi in occasione del centenario della nascita del poeta, per la regia di Antonio Bartoli e Silvia Folchi, con musiche composte da Francesco Oliveto, voce recitante Francesco Manetti. Il documentario – cadenzando con raffinatezza le suggestioni di versi, immagini, frammenti di interviste – testimonia l’intenso legame tra il paesaggio toscano e la poesia di Luzi. Una poesia ove stupore, inquietudine, meditazione, pronunciamento, si innervano in una tenace, ininterrotta parola tesa a voler dare voce alla “maestà del mondo”. Perché ciò è sempre stato l’intendimento della poesia luziana: rivelare il continuo divenire del creato nella sua osmosi drammatica e stupefacente di vita e di morte, di luce e di ombre, di creato e di incompiuto. Uomo, cosmo, natura, sono come sospesi tra il presente e il non-ancora, tra la parola e l’indicibile, tra la precarietà del presente e l’eterna pienezza.
Un paesaggio di mistero - Il teatro in cui questo “mistero” accade (e il documentario di Marchi vuole esplicitarlo) non è, però, paesaggio immaginario, è geografia reale. Gli scenari non risultano meri fondali, ma veri interlocutori. Sono, infatti, i luoghi della Val d’Orcia, delle Crete senesi, dell’Amiata, in cui il Poeta – lo evidenziò con acume Lorenzo Mondo – “va disegnando un universo purgatoriale di ombre ansiose in paesaggi aspri e desolati”. In uno dei suoi ultimi componimenti intitolato “Desiderium collium aeternorum” (si allude ai declivi della Val d’Arbia), Luzi scriveva: “Guardai quelle colline, / erano vere / o le aveva / un allungo celestiale / del pensiero / fatte nel sogno intravedere / tra le mire / del perenne desiderio?”. Tutta la produzione poetica luziana non fa che indicare quelle plaghe come il luogo in cui è racchiuso il “divenire” della vita e della morte. Chiede il Poeta: è terra che richiama gli scomparsi o i venturi? O forse entrambi – si risponde – perché è terra che assorbe morte, ma per restituirla in vita. Quando egli parla della terra senese la nomina “mia stella”, “mio luogo”, “mia storia”. Ovvero se ne “appropria” per ubicarvi propri tormenti e certezze, ma anche per incontrarvi quelli altrui, poiché c’è qualcosa della vicenda umana che lì respira. Allora, essere dentro quel paesaggio non è solo trovarsi nel tormentoso scorrere del tempo, ma anche compartecipare di una pietas comune, di una memoria ad infinitum che è misura – appunto infinita – del tempo e del dolore.
Il cuore dell’enigma - Terra comunque di contrasti, quando solare quando notturna; sorgente di luce, ma anche sede dell’oscuro. Pianeta che ha nella sua vicissitudine il giorno e la notte. Metafora della condizione umana nel suo dualismo di chiaro e di oscuro, di conoscibile e di ignoto. E ancora luce che sembra, a volte, rendere leggibile ciò che solo prima pareva confuso, quasi la materia si elabori nella stessa luce con un rapporto non tanto di insanabile contrasto, quanto piuttosto di simbiosi. Un paesaggio, quello senese, che – a detta di Luzi – eccita e alimenta la condizione enigmatica dell’uomo (“il cuore dell’enigma”); la rappresenta e la asseconda. Le perplessità umane vi trovano un “luogo” dove tutto è duplice, ancipite. Terra ambigua di un mondo misterioso, vacillante. Misura di tempo e di spazio, di sogno e di esperienza. Pagina liscia e senza margini, bianca o da redigere, dinanzi cui si forma il groppo d’un misterioso tormento che invita ad un agone universale, a entrarci dentro, a misurarsi in una prova aperta, in una vicenda mai conchiudibile.
Terra del ritorno - Infine, terra del ritorno. Perché finito l’esilio, “superato lo spaesamento”, laggiù sulla linea dell’orizzonte, dalla sua “lontana altura”, “mi guarda Siena”. La città, sul suo luminoso trono fra terra e cielo, appare come una sorta di Gerusalemme celeste. E’ approdo finale, ricongiungimento. Non a caso nel “Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini”, l’immaginario viaggio di Simone (alter ego del poeta) da Avignone a Siena, è un ritorno che non significa essere semplicemente la conclusione di una vita, ma un andarne “oltre”, verso una nuova e diversa percezione della realtà che non annulla il “prima”, il “già accaduto”, ma lo spiega, ne dà un senso. Fin dall’adolescenza, Siena aveva preso il cuore di Mario Luzi (lo aveva fatto battere e vibrare in un esaltato fervore), e lungo gli anni della sua vita quel sentimento sempre più si era alimentato di stupore, di ri-conoscenza: “[...] è lei / sostanza rara / in cui splendono insieme / esultazione e pena / e bruciano in purità celeste / sofferenza e grazia / d’una inenarrabile quarantena […]”. Perciò, invocava il Poeta, “non si celi, non mi venga meno”.
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Giornalista, scrittore, saggista. Inizia giovanissimo l’attività pubblicistica su giornali e riviste scrivendo di letteratura, musica, tradizioni popolari. Filoni di interesse su cui, nel corso degli anni, pubblica numerosi libri tra cui: La grazia del dubbio (1990), La festa difficile (2001), Siena d’autore. Guida letteraria della città e delle sue terre (2004), Giosuè Carducci. Una vita da poeta (2011), Giovanni Pascoli. Il poeta delle cose (2012), Il giornale della domenica. Scritti brevi su libri, vita, passioni e altre inezie (2013), Il racconto del vivere. Luoghi, cose e persone nella Toscana di Carlo Cassola (2017). Cura la ristampa del libro di Luigi Sbaragli Claudio Tolomei. Umanista senese del Cinquecento (2016) ed è co-curatore dei volumi dedicati a Mario Luzi: Mi guarda Siena (2002) Toscana Mater (2004),...
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