Sono solo in casa editrice, dove per il momento mi ostino a venire (mi è difficile lavorare a casa), anche se in costante contatto con tutti i miei compagni di avventura. Questa mattina ho sentito alla radio un lungo elenco di ragioni in base alle quali il lavoro da casa sarebbe preferibile, anche in tempi normali, al lavoro svolto comunitariamente in ufficio. Sono perplesso. È bello, è vero, rimanere nel proprio ambiente domestico (magari in pigiama: è una delle ragioni evocate!), decidere, entro certi limiti, quando lavorare e quando fare altro, o quale musica ascoltare, cucinare il proprio piatto preferito tra una bozza e l’altra, evitare i contatti (se non in forma molto mediata) con il collega che proprio non sopportiamo. E può essere vero che la produttività così ci guadagni (e l’azienda risparmi, sull’affitto, sui consumi ecc.). Ma, così facendo, verso quale tipo di società e di convivenza ci dirigiamo?
Siamo già e da molti anni, individualmente e collettivamente, sempre più orientati all’isolamento o, quanto meno, a una progressiva sterilizzazione dei rapporti. La dimensione della relazione interpersonale, quella dell’incontro e della condivisione, dell’aiuto e del sostegno reciproco, del reciproco “accompagnamento” lungo le sempre incerte strade della vita, pare interessare soltanto a ristrette élite ideologicamente impegnate. I più (forse anche io) sembrano unicamente interessati a coltivare il proprio benessere (una parola chiave di questi anni), da soli o in una ristretta compagnia. Qualcuno parla di nuove forme di socialità. Mah… Sono d’accordo sulla “novità”, assai meno sul suo reale carattere. Mi sbaglio?
In questi giorni ho utilizzato diverse modalità di comunicazione online. Lo sappiamo tutti: ormai è possibile vedersi e parlarsi, come se si fosse uno di fronte all’altro. Ma si tratta di una vera equivalenza? Io dico di no. Io vivo questi giorni e queste necessarie modalità di comunicazione a distanza come una quaresima, in cui si fa quel che si può (e si deve), ci si consola a distanza (ed è anche bello), in attesa che tornino tempi migliori. Non è sempre facile la vita in casa editrice. Non siamo pochi e i caratteri spesso confliggono. Io poi non sono forse così efficace nel “dirigere il traffico”, anche se lo faccio da tanti anni. Ma preferisco mille volte avere tutti intorno, discutere, litigare, arrabbiarmi, che essere molto tranquillo, e forse efficiente, in solitudine.
“La vita”, scriveva
Alain, “è un mestiere che bisogna fare in piedi”. Non da soli, aggiungo io. Proprio per questo stiamo lavorando a diverse iniziative, per farvi compagnia. Tenete d’occhio il nostro
sito e le nostre pagine social. E soprattutto scriveteci, raccontateci la vostra vita quotidiana, le vostre letture, le vostre speranze, le vostre paure. Rendiamo fertile il grande silenzio che ci circonda.