Il dio del fuoco. Che bella la mitologia: così paradossale, così umana

Luigi Oliveto

11/12/2024

Diceva Thomas Mann che “il mito è il fondamento della vita, lo schema senza tempo, la formula secondo cui la vita si esprime quando fugge al di fuori dell'inconscio”. Verissimo. La mitologia ‘spiega’ paradossi, enigmi, sogni, sentimenti, tutto l’inconfessabile dell’esperienza umana. Perciò il mito è contemporaneo ad ogni epoca. Quegli dèi che sembrerebbero stare in un mondo a parte, di fatto vivono e lottano insieme a noi. Magari combinando anche qualche casino, perché le cose possono sfuggirli di mano, le scelte risultare precipitose, l’istinto prendere il sopravvento sulla ragione. Insomma, se andiamo a vedere meglio, anche nell’Olimpo non sono proprio tutte rose e fiori: litigano, masticano invidie, covano gelosie, consumano tradimenti, fanno errori. Pure lassù esistono discriminazioni che gridano vendetta. Il caso più clamoroso resta quello di Efesto che, per quanto figlio di Zeus ed Era (o forse auto-concepito dalla sola Era) viene trattato come figlio di un dio minore, perché brutto e deforme. È giusto lui il protagonista del romanzo “Il dio del fuoco” di Paola Mastrocola, abile affabulatrice e acuta psicologa nel suggerire quanto di umano rispecchi questa storia e il mito in generale. Dunque Efesto, gracile e storpio alla nascita, viene rifiutato dalla madre Era che dall’Olimpo lo getta nel vuoto. Un precipizio che pare non finire mai, nove giorni e nove notti (“Io non sono nato, sono caduto”), finché non si adagia sul fondo del mare. Saranno due ninfe, Teti ed Eurinome, a prendersene cura e a crescerlo. Laggiù, negli abissi marini, si inventa un mestiere con cui prova ad acquietare il fuoco di odio, mai spento, verso sua madre. Fonde metalli, forgia gioielli così raffinati che seducono pure la mamma snaturata. Il ripugnante Efesto diviene un grande artista che lavora da dio (dio del fuoco, appunto). Arriva a sposare persino Afrodite, la dea della bellezza. Ma nessun amore può risarcirlo da quello che gli negò la madre. Terribile è avere sperimentato il rifiuto, l’emarginazione, sentirsi uno scarto. L’amore mancato diventa odio, e – deve ammettere Efesto – “la cosa buffa è che è sempre l'amore che ci incatena, l'amore che vorremmo suscitare o l'amore che abbiamo perso”. Si sarà dunque capito che il racconto stupendamente riproposto da Paola Mastrocola è qualcosa che ci riguarda molto da vicino. Che bella la mitologia, così paradossale, così umana.

***

Il Sole si volta, manda lo sguardo di lato perché qualcosa lo ha attratto, un movimento, un passaggio in cielo, veloce e rettilineo verso il basso, che non riesce a ricondurre a nulla di noto. Cos’è? Il Sole è lontano, non mette bene a fuoco. È qualcosa che vola, ma nessun volatile potrebbe volare a quell’altezza. Foglia, o piuma? Non è così piccolo e leggero, prende velocità e segue una linea perfettamente verticale. Mai una scossa, un ondeggiamento.
A ben guardare cade, non vola. Precipita. Attraversa l’ampiezza del cielo precipitando, come può fare solo una pietra. Ma non è una pietra. Ha una morbidezza, una complessità, che la pietra non possiede.
Elios, il Sole che tutto vede, ferma l’occhio su quella cosa che non ha mai visto. Ma può concedersi solo un attimo di sosta, poi deve completare il suo arco. Non si sofferma mai, il Sole, trascorre in fretta sulle mille cose del mondo, e a ognuna elargisce i suoi raggi.
Anche Atlante intercetta l’oggetto misterioso che cade, e prova a non perderlo di vista. È il titano punito, colui che insieme ai suoi fratelli mosse guerra a Zeus: venne sconfitto, e condannato a reggere sulle spalle il cielo. Ora cerca di spostare lo sguardo il più possibile, ma ha dei limiti. Se si volta troppo, rischia di mollare la presa. Se il cielo deve restare in alto, lui non si può distrarre.
Suo nipote è il dio messaggero, il dio alato che può volare e in un attimo raggiunge le terre più lontane. Incrocia anche lui l’oggetto che vola, e anche lui non sa. È notte. Ermes, che di notte sfida il buio per accompagnare le anime nell’Aldilà, segue per un breve tratto l’oggetto che sembra volare e invece cade. Precipita, è chiaro che precipita. Gli s’avvicina e vede che si muove, si agita, cambia posizione e a volte si capovolge. Ma è troppo piccolo, minuscolo, un pulviscolo di niente, solo un punto. E un punto è troppo poco per il dio veloce. Non ha il tempo di fermarsi, nemmeno lui. Aereo, volubile e frettoloso, Ermes non è libero, esegue ordini. Una spinta misteriosa lo guida. Così vola dove gli è stato detto di volare, voltando le spalle.
Gli dèi non sempre si accorgono di ciò che accade. Guardano altro, pensano ad altro. Si lasciano distrarre. Credono che il mondo sia immenso e, siccome son convinti di averlo creato, si beano di quella immensità. Così anch’essi si smarriscono. Non capiscono, sbagliano, si confondono. E ogni tanto si perdono qualcosa, che forse era importante.
Rinasce il giorno e ritorna la notte, più volte. Quella caduta ha una durata che non finisce, come volesse mimare il movimento delle cose eterne. Quel punto che è solo un punto continua a cadere.
Ora anche gli uomini delle montagne lo vedono, e poi quelli delle pianure. Ma gli uomini sono solo uomini, creati dagli dèi perché agli dèi la Terra sembrava vuota, e lasciarla deserta un’occasione sprecata. Hanno una vita troppo breve per capire. Il loro sguardo imperfetto arriva dove può, e con quello sguardo lo seguono finché sparisce oltre l’orizzonte e precipita in mare.
Il mare è il regno di Poseidone. Nel sorteggio del mondo, a Zeus era toccato il cielo e a Ade l’invisibile regno dei Morti, che si apre nelle viscere della Terra dove non è mai giorno.
Quando quella cosa cade dal cielo, Ade non può vederla perché lui è il re dell’oscurità. È Zeus il re del cielo, è lui che può tutto, che avrebbe potuto vedere e capire. Ma in quel momento è altrove, impegnato, perso a inseguire i suoi amori.
Poseidone invece la vede, quella cosa. Sta guidando il carro a pelo d’acqua e si diverte a sollevare le onde. È un dio impetuoso e capriccioso. Ma ora i cavalli blu hanno un fremito, nitriscono e sollevano le zampe anteriori davanti al tuffo che li spaventa. Perdono la direzione.
Poseidone li riporta al suo comando, e inabissa il carro per seguire l’oggetto che ora non precipita, sprofonda. La sua velocità si attenua sempre più, nell’acqua, ma la linea che percorre è ancora verticale. Il dio lo segue, perché il piacere della curiosità non s’interrompa. Poi però si distrae. Come al solito. Non dura mai tanto in un pensiero, il dio giocoso e terribile del mare. Adesso gli viene il guizzo di far burrasca, incita i cavalli che s’impennano al galoppo verso il cielo e lasciano dietro di sé onde gigantesche: ne nasce una di quelle tempeste estreme che sfiancano le navi ma negli abissi non arrivano. Il mare profondo non conosce gli sconquassi che turbano il mare della superficie.
Per nove giorni e nove notti, prima nel cielo e poi nel mare, l’oggetto cade e sprofonda: la sua discesa è divisa in due parti uguali, per metà d’aria, per metà d’acqua.
L’ultimo tratto è lieve, lo scortano gli esseri marini dei fondali, gli fluttuano attorno le alghe, conchiglie giganti spalancano e richiudono le valve al ritmo del loro stupore.
Poi il viaggio, se di viaggio si tratta, finisce. Quel che cadeva smette di cadere e si deposita sul fondo.
Una sottile nube di sabbia impolvera l’abisso. Cavallucci, calamari, seppie, mitili neroazzurri, anemoni di mare e pesci dai barbigli luminescenti gli si affollano intorno.
Nessuno ha visto. Nessuno sa. Nessuno degli dèi che abitano il maestoso cielo, nessuno degli uomini che vagano sulla nuda terra, nessuno degli animali che popolano il vasto e misterioso mare. Difficile esser pronti a capire quello che nella storia del Cosmo non è mai successo.
L’aria si ricompone, il mare torna intatto. E così è. Come se nulla fosse stato.

[da Il dio del fuoco di Paola Mastrocola, Einaudi, 2024]

 
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Luigi Oliveto

Luigi Oliveto

Giornalista, scrittore, saggista. Inizia giovanissimo l’attività pubblicistica su giornali e riviste scrivendo di letteratura, musica, tradizioni popolari. Filoni di interesse su cui, nel corso degli anni, pubblica numerosi libri tra cui: La grazia del dubbio (1990), La festa difficile (2001), Siena d’autore. Guida letteraria della città e delle sue terre (2004), Giosuè Carducci. Una vita da poeta (2011), Giovanni Pascoli. Il poeta delle cose (2012), Il giornale della domenica. Scritti brevi su libri, vita, passioni e altre inezie (2013), Il racconto del vivere. Luoghi, cose e persone nella Toscana di Carlo Cassola (2017). Cura la ristampa del libro di Luigi Sbaragli Claudio Tolomei. Umanista senese del Cinquecento (2016) ed è co-curatore dei volumi dedicati a Mario Luzi: Mi guarda Siena (2002) Toscana Mater (2004),...

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