“Lo farete per me? Un cartone. Uno solo. Vi prego” accostò il volto per parlargli all’orecchio.
“Togliti. Sei un idiota, mi chiedi una cosa assurda. Davvero credi che non se ne accorgeranno?”
“Da queste parti non hanno mai visto Zorzi. Mai. E lui poi non voleva essere ritratto e anche di autoritratti mica ne ha fatti tanti”. Sebastiano si immalinconì.
“Avrei voluto averne un ritratto. Lo avrei tenuto per me. E ora invece niente. Se n’è andato. Possiamo essere così? Vento. Polvere. Qualche polvere colorata, se va bene”
“Hm. Non è lui il problema”, lo accarezzò sulla testa; accostò la mano alla gota e lo baciò con dolcezza. “Va bene. Avrai il tuo disegno. Almeno dopo fatti crescere la barba. Dannazione della mia vita. Non siete altro che sanguisughe. Tutti”.
Il ragazzo gridò la gioia della vittoria. Gli chiese se aveva già qualcosa in mente, se desiderasse qualcosa in particolare. Rispose di avere in sé solo immagini confuse. Tranne il suo volto, che stava inciso nella sua testa come se lo avesse di fronte, però prima che il male colpisse. Certamente il corpo perfetto, bello, amato, ai piedi della Madonna. Era morto proprio cogli stessi pochi anni di Cristo. Lo avrebbe poi fatto lui bianco, pallido, alla luce impietosa della luna, illuminato da un sudario ancora più bianco, bianco come il lenzuolo di Venere, in una notte cupa, buia e senza speranza. E così, fissato nella pala, non avrebbe mai smesso di piangerlo. Il maestro aveva scosso la testa, chiedendosi ancora come sperasse di non farsi riconoscere solo perchè portava un velo che neanche copriva il volto e una tunica azzurra, con quella sua mascella diritta, con quel collo taurino; quale idiota avrebbe potuto credere che quelle mani ossute e squadrate appartenessero a una donna? La vergine Maria, per giunta. Una sibilla, un angelo, va bene. Ma la Madonna?
Sebastiano non aveva sentito ragioni e quando il disegno fu completo si mise a guardarlo completamente assorbito, senza riuscire a spostare la testa da quel pensiero doloroso. Il Maestro pensò cupamente che se lo avessero riconosciuto nei panni di Maria lo avrebbero impiccato. Quasi si pentì di averglielo fatto, quel disegno. Poi però il giorno dopo gli era sembrato già più sereno, come se avesse finalmente iniziato a metabolizzare quella morte o almeno aveva finalmente smesso di parlare di Venezia e questo gli bastò. Quando finì il dipinto anche le sue lacrime erano asciutte, come se le avesse usate tutte per sciogliere i colori e fissare sul legno il dolore dell’assenza. A parte il fatto che sul fondo non c’erano le colline del nord con le case coloniche dalla perfezione maniacale, piuttosto scheletri di case e rami secchi - pure i bei resti antichi si erano fatti rovine, monconi che appena stavano in piedi. A parte lo sfondo infernale, però, era diventato bravo, il ragazzo. Niente da dire. E Zorzi, il magnifico veneziano, pensò il maestro guardando il corpo disteso a terra ai piedi della massiccia figura ammantata, era stato davvero una grande perdita.
Appendice - Giorgio (Zorzo o Zorzi) da Castelfranco, noto come Giorgione, muore a Venezia nel 1510 a 33 anni durante un’epidemia. Sebastiano Luciani, che sarà poi soprannominato del Piombo, che lavorava presso la bottega di Giorgione, lascia Venezia e si trasferisce a Roma dove conosce Michelangelo. La Pietà della Chiesa di S. Francesco, ora nel Museo Civico di Viterbo, raffigura la Madonna col corpo del Cristo deposto ai piedi in un ambiente notturno. Il cartone sembra sia stato disegnato per Sebastiano da Michelangelo. Il volto del Cristo è assai simile a quello del San Giorgio raffigurato da Tiziano in una Sacra Conversazione ora al Museo del Prado.
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