04/03/2014
Un inverno sostanzialmente mite si è messo a fare il bizzoso proprio in questi giorni carnevaleschi, mortificando un po’ inventiva, colori, lazzi di maschere e mascherine. Ma Re Carnevale è stato ugualmente onorato. E, pur nella mestizia di vento e pioggia, sono volati i coriandoli. Certo, avremmo preferito un giovedì grasso come quello che ci raccontava Mario Pratesi nel suo romanzo L’eredità, con una piazza del Campo, sì ventosa, ma dove pareva “d’udir turbinare nell’aria ancor rigida la primavera che s’avvicina coi fiori in grembo”. Alla bell’e meglio la festa si è comunque svolta, per il divertimento delle maschere e, soprattutto, di chi vi era celato. Giusto in mezzo agli spifferi di Piazza e alle stelle filanti umiliate dalla pioggia, qualcuno mi ricordava che Siena vanterebbe anche una propria maschera. Quel Cassandro che si dice nato nell’aristocratica cerchia dell’Accademia degli Intronati e che, insieme a maschere ben più famose, può condividere l’antico lignaggio della Commedia dell’Arte.
La maschera di Siena - Sulle origini di Cassandro, gli studiosi hanno sempre sostenuto che se ne contendessero l’invenzione Siena e Roma, finché non si è giunti alla conclusione che trattandosi di nomi leggermente diversi (Cassandro il senese e Cassandrino quello romano) siano da ritenersi due maschere distinte. Peraltro, mentre Cassandro nasce nel Cinquecento, il secondo appare sulla ribalta romana solo nell’Ottocento. Si reputa che a ideare caratterialmente Cassandro sia stato Girolamo Bargagli (accademico intronato con il nome de ‘il Materiale’). Nacque come personaggio della sua commedia intitolata “La Pellegrina”, pubblicata a Siena nel 1589 (ma scritta almeno vent’anni prima) e rappresentata quello stesso anno a Firenze in occasione delle nozze granducali tra Ferdinando de’ Medici e Cristina di Lorena. La fastosa rappresentazione fiorentina poté arricchirsi degli intermezzi di Ottavio Rinuccini, delle musiche di Giovanni Maria Bardi (precursore del melodramma), Giulio Caccini, Emilio de’ Cavalieri, Cristoforo Malvezzi, Luca Marenzio. Per conoscere il carattere della maschera senese può essere interessante andare a rileggere quanto scrisse Giuseppe Petrai in Lo spirito delle maschere: “Cassandro aveva la privativa [cioè la proprietà esclusiva] delle parti di vecchio, un vecchio marito contento; di padre minchioncione e di tutore innamorato e ridicolo. Ma, nel farsi corbellare, corbellava a sua posta, tanto graziosamente, vagheggini [corteggiatori] fatui e galanti, imparruccati, truccati e tirati a pulimento, i quali si sforzavano invano a dissimular la cinquantina o la sessantina, che la caricatura riusciva piacevolissima; e Cassandro era diventato l’idolo del pubblico”. Il successo del personaggio non fu solo italiano, poiché, grazie alla Compagnia dei Gelosi (la più famosa compagnia dell’intera Commedia dell’Arte, animata dal pistoiese Francesco Andreini), Cassandro divenne popolarissimo anche in Francia, al punto da credere che fosse stata la stessa Compagnia a creare quel personaggio che rappresentava la figura del padre serio, ruolo affidato già al veneziano Pantalone con analoghi e complicati intrighi.
La rinascita di Cassandro - Cassandro era quasi scomparso dai canovacci italiani, quando, lungo il Settecento, riapparve sulle scene italo-francesi per il talento di interpreti come Perier (1732), Desjardins (1736), Garnier (1739), Robert de Brosses (1744), Rozier (1780), fino ad arrivare al celebre Chapelle, grosso e corto, con l’aria da stupido, ma i cui giochi risultavano essere inimitabili e divertentissimi. Si arriverà così alla fine dell’Ottocento, quando Cassandro diverrà Cassandrino, un burattino splendidamente manovrato da Filippo Teoli, burattinaio e gioielliere che, attraverso quella maschera, sbeffeggiava la Roma ottocentesca, beghina e spilorcia, non solo con il plauso (fin troppo facile) del popolo, ma anche con l’apprezzamento di personaggi quali Stendhal, Giuseppe Gioachino Belli, e addirittura del Leopardi che lo cita nei “Paralipomeni della Batracomiomachia”. Verso la fine dell’Ottocento, sotto i pontificati di Leone XI e Pio IX, la maschera senese-romanizzata fu impersonata da Filippo Bencini, un legatore di libri, che vestì Cassandro alla maniera settecentesca francese, così come la vediamo in un disegno di Maurice Sand del 1859: con culotte e abito amaranto foderato di grigio, un gilet candido a disegni rosa, le giarrettiere rosse, la cravatta di mussolina, il tricorno nero e i guanti verdi, la tabacchiera in pugno e il bastone con il pomo d’avorio. Tale è dunque questo arzillo e incipriato vecchietto, affarista loquace ed innamorato al primo colpo di tutte le donne che incontra. Talvolta è padre di Colombina, altre è il marito gabbato, l’amante di tutte e di nessuna. La classica figura del vecchio dell’antica Commedia dell’Arte.
Gl’Ingannati e Virginia Senensis - Sempre a proposito di nessi tra Siena, carnevale e teatro cinquecentesco, non può essere certo dimenticata la giocosa commedia de “Gl’ingannati”, lavoro collettivo dell’Accademia degli Intronati, la cui prima avvenne a Siena, all’interno del Palazzo Comunale, il 12 febbraio 1532, ultimo giorno di carnevale. Grande fu la fortuna di quest’opera, successivamente rappresentata in Italia e Europa, e che fu, per Shakespeare, tra le fonti di ispirazione de “La dodicesima notte”. Così come merita ricordare lo strano caso di Lucrezia di Siena, attrice italiana del XVI secolo, probabilmente prima donna a esibirsi in una compagnia teatrale legata alle nuove forme della Commedia dell’Arte. E’ citata in appendice alla corposa “Storia del Teatro” di Glynne Wickham (Il Mulino, 1988) dove la curatrice delle schede, Mirella Schino, ci dice che in un contratto stipulato con un notaio romano il 10 ottobre 1564, risulta, per la prima volta, “domina Lucretia Senensis”, ingaggiata da una compagnia che si proponeva di far commedie nel periodo di carnevale. Chi fosse tale Lucrezia non è dato saperlo. Probabilmente una “cortigiana” acculturata, in grado di comporre versi e di suonare strumenti musicali. Una di quelle donne definite “meretrici oneste” o, con termine più garbato, “dame di compagnia”, che, a seguito dell’ondata moralizzatrice del Concilio di Trento, furono costrette a trovare nuove occupazioni. L’emancipata Virginia Senensis fu, dunque, una prima professionista del teatro, alla quale, in seguito, sarebbero seguite altre. Insomma, anche nello show business cinquecentesco, Siena seppe dare il proprio contributo di idee e personaggi.
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Giornalista, scrittore, saggista. Inizia giovanissimo l’attività pubblicistica su giornali e riviste scrivendo di letteratura, musica, tradizioni popolari. Filoni di interesse su cui, nel corso degli anni, pubblica numerosi libri tra cui: La grazia del dubbio (1990), La festa difficile (2001), Siena d’autore. Guida letteraria della città e delle sue terre (2004), Giosuè Carducci. Una vita da poeta (2011), Giovanni Pascoli. Il poeta delle cose (2012), Il giornale della domenica. Scritti brevi su libri, vita, passioni e altre inezie (2013), Il racconto del vivere. Luoghi, cose e persone nella Toscana di Carlo Cassola (2017). Cura la ristampa del libro di Luigi Sbaragli Claudio Tolomei. Umanista senese del Cinquecento (2016) ed è co-curatore dei volumi dedicati a Mario Luzi: Mi guarda Siena (2002) Toscana Mater (2004),...
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