“I pesci devono nuotare”, Paolo Di Stefano e la storia di Selim

Luigi Oliveto

19/08/2016

Paolo Di Stefano è filologo, critico letterario, scrittore. Ma anche giornalista, e dunque sa misurarsi bene con la cronaca, raccontarla nella sua evidenza e coglierla – quando ciò avviene – come segno di un trapasso d’epoca. Questo riesce a fare anche con il suo ultimo romanzo “I pesci devono nuotare” (Rizzoli). Una storia attinta dalla cronaca che comincia in un piccolo paese dell’Egitto dalle case incompiute e dai vicoli sterrati. È la vicenda del diciassettenne Selim che non si rassegna ad “allungare i piedi fino a dove c’è la coperta”, raggiunge il mare e lo attraversa fino alla Sicilia. Sale poi fino a Milano, in quella città che non regala niente a nessuno e dove vuole imparare a parlare l’italiano meglio degli italiani, costruirsi un futuro che dia ragione al suo desiderio di riscatto. Perché Selim crede al fatto che “i pesci devono nuotare”. È una storia dei nostri giorni: di accoglienze e respingimenti, di muri veri e simbolici, di chi sta dall’altra parte di quei muri.
 
 
Mi chiamo Selim, sono nato in un villaggio di campagna a molti chilometri dall’Italia, migliaia di chilometri, in luoghi che non potete conoscere ma che facendo un piccolo sforzo potreste immaginare, perché lì non c’è deserto e il paesaggio è verde come qui. Non proprio qui, ma insomma, quasi. Il deserto è più lontano. Mia madre è cresciuta analfabeta, troppo povera per studiare, ma molto più intelligente di tante mamme che hanno studiato. La sua famiglia voleva solo che aiutasse in casa, niente scuola. Mia madre è la madre più dolce e affettuosa che abbia mai conosciuto. Mio padre invece è un uomo duro, severo, testardo, sacerdote e contadino, ha sempre parlato poco, perché lavora tutto il giorno e non ha tempo per parlare e per dedicarsi ai figli. Da noi i sacerdoti si chiamano “imam” o “sheikh”, sono molto rispettati dalla gente e si occupano di guidare i fedeli nella preghiera: cinque volte al giorno nelle moschee. Ho due sorelle e un fratello: Jasmine, la maggiore, è nata tre anni prima di me, poi sono venuti due gemelli, Nabila e Mohammed. Io mi chiamo Selim, ma questo l’ho già detto: il mio nome in arabo significa “tranquillo” e io, se mi lasciano in pace, sono abbastanza tranquillo come il mio nome. Mio padre voleva che diventassi sacerdote anch’io e medico, però a me non andava di fare né il dottore né il sacerdote. Abbiamo abitato per diversi anni dai miei nonni paterni, una vecchia casa di due piani, perché non potevamo permetterci una casa intera per noi: di sotto c’era la sartoria di mio zio, il salotto, la cucina e la camera dei nonni; sopra, la camera da letto in cui dormivamo noi quattro figli con mamma e papà. Lì dentro, in sei, nella stessa stanza. Vicini, stretti, ammassati, ammucchiati. Lì dentro, in quella casa, c’erano anche le camere degli altri zii con le loro famiglie. E la sera si mangiava insieme in una grande tavolata, figli, nipoti, madri, padri, zii, zie, nonni, cugini. Chi urlava, chi si alzava, chi si sedeva, chi parlava, chi si sbracciava, chi piangeva, chi rideva, chi beveva, chi masticava, chi mordeva il pane, l’aria di casa, le parole sue e degli altri. Mio nonno a sessant’anni era già vecchio, da noi si invecchia presto e a quarant’anni sei quasi un anziano, la vita, la povertà e il lavoro ti fanno invecchiare prima. Mio padre è molto rigido, ma anche questo l’ho già detto. Era per precisare che non solo dovevo fare quel che diceva lui, ma dovevo anche pensare quello che lui pensava: non tutti sanno fare i genitori e capire i propri figli, ma è anche vero che non tutti sanno essere figli. Mio padre non capiva. Non è un tipo cattivo, ma è difficile vivere con una persona come lui, anche se ti fa crescere in fretta. I nostri desideri di figli non contavano niente, noi non avevamo il coraggio di chiedergli niente, e se avevamo desideri potevamo esprimerli solo alla mamma, che poi ne parlava con papà: forse la natura è così, le mamme sono più vicine ai figli e i papà sono più lontani.
 
[da I pesci devono nuotare di Paolo di Stefano]
 
Torna Indietro
Lascia un Commento

Scrivi un commento

Scrivi le tue impressioni e i commenti,
verranno pubblicati il prima possibile!

Ho letto l'informativa sulla privacy e acconsento al trattamento dei dati personali ai sensi dell'art. 13 D. lgs. 30 giugno 2003, n.196

Luigi Oliveto

Luigi Oliveto

Giornalista, scrittore, saggista. Inizia giovanissimo l’attività pubblicistica su giornali e riviste scrivendo di letteratura, musica, tradizioni popolari. Filoni di interesse su cui, nel corso degli anni, pubblica numerosi libri tra cui: La grazia del dubbio (1990), La festa difficile (2001), Siena d’autore. Guida letteraria della città e delle sue terre (2004), Giosuè Carducci. Una vita da poeta (2011), Giovanni Pascoli. Il poeta delle cose (2012), Il giornale della domenica. Scritti brevi su libri, vita, passioni e altre inezie (2013), Il racconto del vivere. Luoghi, cose e persone nella Toscana di Carlo Cassola (2017). Cura la ristampa del libro di Luigi Sbaragli Claudio Tolomei. Umanista senese del Cinquecento (2016) ed è co-curatore dei volumi dedicati a Mario Luzi: Mi guarda Siena (2002) Toscana Mater (2004),...

Vai all' Autore

Libri in Catalogo

NEWS

x

Continuando la navigazione o chiudendo questa finestra, accetti l'utilizzo dei cookies.

Questo sito o gli strumenti terzi qui utilizzati utilizzano cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Chiudendo questo banner o proseguendo la navigazione, acconsenti all’uso dei cookie.

Accetto Cookie Policy
X
x