02/07/2012
Il controverso rapporto tra pie Compagnie laicali e ludiche Contrade viene investito da nuove illuminanti chiose nell’appassionata e filologica ricerca che Paolo Tertulliano Lombardi dedica al suo Leocorno. Ne è uscita da poco una prima parte, edita sotto il titolo “I Leaiolii”: il termine appare la prima volta in un verbale del 1747 e s’impone come titolo ad una piacevole fatica tesa proprio a restituire volti e voce ad un gruppo che emerse con caparbia volontà e tenace entusiasmo nel frastagliato panorama cittadino. Si sa quanto il processo di istituzionalizzazione delle Contrade debba, in epoca di Riforma cattolica post-tridentina, alle Compagnie laicali, delle quali furono sovente ricalcate pari pari usanze liturgiche e gerarchizzanti terminologie.
Il punto di vista di Giovanni Domenico - Si rammenti la puntigliosa precisazione che il torraiolo Giovanni Domenico scandisce in faccia al presule Francesco Bossi, seguace dei dettami propagandati da Carlo Borromeo, nel corso della sua visita apostolica presso la diocesi nel 1575. Appena entrato nell’oratorio di San Giacomo, Bossi, a scanso di equivoci, è investito da un piccosa rivendicazione da Giovanni, antenato di uno dei meticolosi addetti al culto oggi attivi: “Questa non è compagnia, ma la contrada qui di Salicotto per sua devozione fa celebrare tre messe la settimana nei dì feriali e ci raduniamo a dir l’offitio della Madonna il giorno delle feste e la contrada non ha alcuna entrata. Ma cogliamo fra noi l’elemosina et di quella si dà al sacerdote et ci teniamo il Santissimo Sacramento, quando si porta a gli infermi della contrada et anco aiutiamo [così credo da correggere l ‘aiutano’ del resoconto conservato nell’Archivio Arcivescovile] i poveri della Contrada”. Traspare da questa didascalica puntualizzazione la voglia di distinguersi e di caratterizzarsi per una presenza solidale e fraterna, e non solo per l’indiscussa attenzione alle feste e al Palio su tutte.
Il libro delle Deliberazioni della Compagnia di San Giovanni Battista - La Contrada sembra esibire, a petto della Compagnia, certi requisiti che più tardi possederanno le Società di Contrada a fronte delle loro antiche genitrici. Davvero sintomatico a questo proposito appare un passo trascritto da Libro delle Deliberazioni della Compagnia di San Giovanni Battista: dove in data 7 luglio 1660 si legge di un custode che ha ricevuto domanda da “un della Contrada del Leocorno et a nome di altri”. Costoro chiedevano di potersi adunare nel Cappellone di proprietà della Compagnia. Ed il permesso fu volentieri accordato. Momenti di frizione tra i due organismi non mancarono, ma perlopiù si registrò una cordiale collaborazione. Rovistano tra i documenti, “scopriremo che – fa notare Paolo Lombardi –, se la Compagnia si impegnava a sostenere le spese per partecipare al Palio, la Contrada per parte sua donava alla Compagnia i premi conquistati”. Insomma un armonioso abbraccio lega due fenomeni associativi che esprimono, e formano, una stessa realtà urbana attingendo le loro risorse da uno stesso popolo.
Le celebrazioni di San Giovanni affidate alle contrade - Quando poi le leggi leopoldine sopprimono le Compagnie, ecco che la Contrada assume su di sé la celebrazione della nascita di San Giovanni e subentra in certo senso a culti e abitudini delle chiesastiche ed ora estinte sorelle. Il calco sui moduli tipici della Compagnia si verifica, del resto, lungo tutto il calendario degli appuntanti religiosi della Contrada: Mattutino, Quarantore, varie processioni e pubbliche cerimonie. Ci sarà perfino chi denuncerà uno “sconfinamento” temibile, se non un’indebita concorrenza, da parte delle vivaci Contrade, a scapito delle disciplinate sedi devozionali. Le Contrade – ben si capisce – ereditano insegne militari, depositata araldica, pie consuetudini con una straordinaria e prensile capacità di adattamento. Hanno un che di spontaneo, di popolaresco e non si peritano a tramandare simboli e costumanze che altrimenti avrebbero rischiato l’oblio. Ritrovare nomi e parole di vicissitudini spesso ritenute marginali è un salutare esercizio. Paolo, presentando con l’umiltà che lo distingue il frutto di tanti anni di lavoro, ha confessato che ormai ha la sensazione di convivere con i tanti “leaiolii” incontrati nelle vecchie carte, quasi che ridar loro voce e identità equivalesse a resuscitarli, a renderli ancora partecipi di un’ininterrotta e affollata sequenza, che abolisce il tempo e annulla le distanze.
Articolo pubblicato su Il Corriere di Siena del 30 giugno 2012 (p. 33)
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