01/06/2011
“Bintel brief” in Yiddish, la lingua parlata dagli ebrei dell’Europa centrale ed orientale, vuol dire “pila di lettere” ed era il titolo della rubrica che Abraham Cahan curava sul “Forward”, quotidiano di cultura ebraica, del quale era anche orgoglioso fondatore, editore e direttore. Era arrivato in America nel 1882 da un paesino lituano dal nome di sicuro più lungo della sua estensione, Padberberezer, inseguito dalla repressione zarista e dai continui pogrom. Per quelli come lui, socialista e rivoluzionario, quella parte di globo non andava più bene. New York invece, della quale se ne sentiva parlare come di un vero e proprio Eldorado, offriva un universo che stava prendendo forma, pieno di opportunità, un luogo sicuro per gli ebrei, tante belle donne in giro e una buona attenzione alla cultura. Nessuna città sarebbe stata migliore. Quando il 22 aprile del 1897 il “Forward” sfornò il primo numero fresco-croccante di stampa, non ci volle molto tempo per imporsi come punto di riferimento per la classe di immigranti ebrei che via via stava popolando il nuovo mondo. Gente che aveva lasciato lo “shtetl”, il paesino in Europa dove viveva, e che in America avrebbe acquisito un livello di vita migliore e per certo auspicati e agognati diritti. Il “Forward” divenne di fatto la voce e la coscienza di questo nuovo popolo. Con la sua linea politica di ispirazione socialdemocratica si pose vicino ai lavoratori e amplificò e supportò il mondo sindacale. Sempre dalla parte della giustizia, delle donne, dei soggetti più deboli; difensore estremo dei diritti delle minoranze e della democrazia. Atteggiamenti non sempre facili in quartieri miseri come il Lower East Side, dov’era la sede del giornale, la parte più povera di Manhattan, dove lo scontro quotidiano fra i nuovi disgraziati irlandesi, italiani, tedeschi, ebrei, cinesi, greci si sommava alla necessità di trovare un percorso comune verso un indispensabile processo di americanizzazione. Dalla sua posizione di editore e dai suoi editoriali, Mr. Cahan fu sempre un fermo sostenitore della necessità di imparare l’inglese come lievito di questa fondamentale evoluzione. La rubrica “Bintel brief” dopo oltre un secolo “resiste” ancora.
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