16/08/2011
È come se qualcuno avesse il dovere morale di avere una lunga vita. Come alcune stelle che riescono a brillare per più tempo o un racconto che diventa leggenda o una ninnananna che per mille e mille anni infiamma la fantasia dei bambini. O come chi è sopravvissuto alla Shoah, o qualche “giusto” che li ha aiutati. Ed è come se sentissero un impegno solenne, una promessa: tu stella brillerai per dare luce agli astri che si sono spenti; tu cantilena darai voce alle melodie dalle parole portate via; e tu che hai visto le bestie feroci mangiare il cuore dei tuoi amori e ti è esplosa la ragione; tu che sei stato benefattore quand’era facile essere dannati. Ora spetta a voi testimoniare, raccontare, vivere e illuminarvi in nome e per conto di chi non c’è più. È toccato a Miep Gies. Se ne è andata a cent’anni. E per tutta la vita è stata un frammento pregiato di una storia disperata quanto straordinaria. “Erano circa le dieci e mezzo. Ero di sopra dai Van Pels, nella stanza di Peter e lo aiutavo con i compiti. Gli ho mostrato l’errore nel dettato quando improvvisamente qualcuno salì di corsa le scale. I gradini scricchiolavano, io mi alzai di scatto perché era ancora mattina e tutti dovevano essere silenziosi. In quel momento la porta si aprì e ci trovammo di fronte un uomo con la pistola in pugno, puntata contro di noi”. Sono le ultime parole del diario di Anna Frank. E il mondo, per la famiglia di Otto Frank, finisce quel venerdì 4 agosto 1944. Miep Gies, che insieme ad altri tre angeli “gentili” aveva aiutato la famiglia a nascondersi, qualche giorno dopo trova, nascosto dietro un mobile di quella soffitta in Prinsengracht 263, un piccolo libretto dalla copertina a quadri. Parole di quei giorni infiniti scritti dalla piccola Anna. Miep lo conserva, senza leggerlo, con una discrezione oltre ogni limite. Nel giugno del ’45, dopo la liberazione, Otto Frank torna ad Amsterdam. Ha perso tutto. Moglie, figlie, cuore, testa. Rimane solo quel diario scritto a caratteri minuti che gli viene consegnato da quella coraggiosa e brava sua ex impiegata Miep Gies. Per riconoscenza, le affida il compito di scrivere la prefazione di quei ricordi. E lei inizia così: “Non sono né un eroe, né niente di speciale, ho fatto solo ciò che mi fu chiesto e che mi sembrava necessario fare…”.
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