06/06/2010
Ogni parola che ha a che fare con la velocità va bene per mettere furia al lavoro. Veloci! Le mani infarinate lavorano leste quel velo di pasta. Svelti! Diciotto minuti, solo diciotto minuti per fare tutto. Per mettere insieme farina e acqua, impastare, stendere, dare forma e infornare. Forza! Dopo i rituali diciotto minuti finisce il miracolo e quello che sarebbe dovuto diventare “shmurah matzah”, il pane azzimo croccante di Pesach, passa allo status di “chamètz”, lievitato, e non va più bene. Rapidi allora! Siamo nella settimana di Pesach, quella che in modo improprio viene chiamata la Pasqua ebraica. Otto giorni che santificano il lavoro delle settimane precedenti dei forni dei panifici “kasher”, rituali, di tutto il mondo. Fornaci dall’imboccatura di mattoni anneriti che bruciano a mille gradi di temperatura. Dentro, sistemati con velocità, i dischi circolari delle azzime messi ad abbrustolire. Istanti di bollente santità ed escono perfetti, piatti ma scabrosi come la superficie di una duna di sabbia del deserto. Una sequenza accelerata che deve durare solo quei pochi minuti. Sguardi impegnati sotto gli zucchetti scuri dei fornai e mani agili che ammatassano e sbrogliano la pasta bianca come prestigiatori sapienti. Tempo, tempo! Lo stesso tempo che forse fu necessario a fuggire dalla schiavitù dall’Egitto è richiesto per la preparazione solenne. Procedure svelte e iterative, accompagnate da un ritmo antico che sembra una preghiera. Complessi di regole tradizionali che susseguono in una progressione quasi magica. Cinque minuti…due.. pronto! E ogni diciotto minuti tutto si rinnova e deve essere pulito, nettato. Strumenti lindi, mani lavate. Escono dal forno i profumi dell’eternità. Dischetti di una ventina di centimetri di una fragranza particolare. La farina di grano, impastata con l’acqua e cristallizzata in un nuovo stato dal sapore intenso. “Shmurah”, in ebraico, sorvegliato. È il grano che ha avuto una custodia puntuale. Lontano da ogni forma di umidità che avrebbe minimamente potuto far iniziare un processo di fermentazione. Solo quei granelli vigilati con cura diventeranno “pane azzimo” . Fatto di farina, acqua, velocità, calore e un’occhiata da lassù.
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