11/04/2010
Le aree riservate alle partenze dei voli El-Al si trovano nell’angolo più sperduto dell’aeroporto. Lontano dal resto dell’umanità che aspetta. Questioni di sicurezza, si dice. Il Charles de Gaulle di Parigi è bellissimo e gremito come sempre. Un campionario di mondo che viaggia si insegue corridoio dopo corridoio, ascensore, scala mobile. Figure che animano gli aeroporti di tutto il mondo e paiono sempre le stesse. O forse lo sono. Via via che i “gates” vanno verso oriente spariscono i turisti e appaiono i viaggiatori. Le camicie sgargianti diventano bluse dai toni sobri, donne più coperte, uomini coi baffi, barbe, cappelli, le valigie diventano borsoni, scatoloni, sacchi. Anche i rasoi, che ogni mattina accarezzano le gote bianchicce degli europei, da chi vola verso queste destinazioni, non sono tanto usati . Tutto sa di brillantina e di effluvi speziati. Quando ci si avvicina alle sale d’attesa per Israele si ha la sensazione curiosa di essersi infilati in una specie di “versione demo” di quello che sarà il paese che ci ospiterà. Lì, in quello spazio ricavato nell’aerostazione c’è una piccola Israele, un microcosmo che attende la partenza, una specie di magica Macondo brulicante di storie di vita che arrivano a Parigi da ogni angolo del mondo e ripartono verso Eretz Isreael. Famiglie di haredim, ebrei ortodossi, con quattro, cinque figli e le moglie coi capelli coperti, il profilo nobile e lo sguardo eternamente stremato. Studenti di ritorno da un viaggio studio in Canada, uomini d’affari con le camicie candide e il telefonino fuso con l’apparato uditivo, signore coi capelli grigi che portano a casa la felicità di un bacio del fratello rimasto in America. Col naso appiccicato al vetro temperato dal quale si vede la pista c’è una famiglia. Babbo, mamma, due figli. Un maschio di sei anni e una femmina di nove. Sono i Rotschild. Niente a che fare coi banchieri mi dice Zalman, il babbo. “Magari…! Mio padre era un grossista di profumi a Marsiglia e gli affari sono bastati appena per campare decentemente”. “Ora è in pensione”, prosegue. “Io e mia moglie siamo infermieri specializzati. Lei pediatria, io ortopedia. Abbiamo fatto l’“alyah”. Vuol dire “salita”. Buffo che per andare da Parigi a Tel Aviv si debba “salire” anziché scendere. Insomma, stiamo lasciando il nostro paese per andare a vivere in Israele. Per sempre”. Se siamo preoccupati? “Di più, però sereni. Non parliamo una sola parola di ebraico ma ce la caveremo. In fondo un Rotschild in Israele ha sempre le porte spalancate”.
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