09/01/2011
Quando le stelle in cielo sono tante non si fa caso quando qualcuna si spegne e qualche altra si accende. Si sa che è così. Ma se la notte abbuiasse via via i piccoli astri senza provvedere a luci nuove allora sì che ce ne accorgeremmo. Prima che l’oscurità si impossessasse definitivamente delle nostre menti cominceremmo a contare le stelle una ad una, cercando di conoscerle meglio, le chiameremmo per nome, cureremmo la loro storia. Oggi il buio raggiunge gli ultimi sopravvissuti alla Shoah ed ogni loro fatto, frammenti di vita vissuta, diventa una storia unica che abbiamo il dovere di tenere in luce per sempre, una ad una, come ultimi corpi celesti del cielo intero. Jorek Plonski, una stella qualunque, è morto una settima fa a 83 anni nel kibbutz di Meggiddo, nella parte più a nord di Isreaele. Al suo funerale c’erano i suoi due figli, la moglie amatissima Alexandra bella come un’opera d’arte compiuta, i tanti amici di sempre, qualche rabbino, il vecchio Jonah, odontoiatra in pensione, un segugio fulvo di tre anni e tutta la nostra dovuta attenzione. Plonski se ne è andato per un cancro ma nonostante il dolore non ha ma i rinunciato al suo sogno di creare un Museo che ricostruisse la sua Varsavia prima della guerra, prima che la Piazza delle Tre Croci, dove da ragazzo vendeva sigarette, diventasse il centro del ghetto. L’aveva scampata così, camuffandosi con la sorella da ambulante nel mercato cittadino. E piano piano, grazie ad una fisionomia particolarmente ariana e anche se solo tredicenne era riuscito diventare l’unica fonte di approvvigionamento per la famiglia. “Sigarette, Signori, sigaretteee!” gridava il giovane Plonski portandosi le mani alla bocca a forma di megafono. Quando le patate che riusciva a comprare coi pochi “złoty” guadagnati non servirono più perché la famiglia intera fu deportata a Treblinka, il biondo Jorek entrò nella resistenza e partecipò alla rivolta del ghetto del ’43. Sopravvisse fino alla fine della guerra al mercato di giorno e dormendo in un vecchio cimitero cristiano la notte e si tenne stretti dei documenti ben falsificati. Appena possibile si trasferì in Israele e fondò con una bella figliola di nome Alexandra il kibbutz di Meggiddo. Il Museo sarà aperto il prossimo 21 aprile. Il vecchio Jorek, astro qualsiasi, ce l’ha fatta e la sua luce brillerà per sempre.
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