23/04/2012
Tolstoj diceva che “la musica è la stenografia dell'emozione. Emozioni che si lasciano descrivere a parole con difficoltà sono direttamente trasmesse nella musica, ed in questo sta il suo potere ed il suo significato”. Poche righe che raffigurano bene quelle sonorità che hanno la capacità di lasciarci muti, di spaccarci il cuore e di trascinarci in un mondo incantato dove il pensiero si esprime con ritmi, canti e melodie e la materia, il corpo si raccontano con il ballo. Musiche che arrivano da lontano, dalla coscienza più profonda; “germen” armonico che pare essere espressione ultraterrena e si manifesta attraverso un “soma” acustico, dolce e penetrante. È la musica “klezmer”: la colonna sonora dell’ebraismo. Suoni fatti di energia e di dolore, di sentimento e di ironia. Suoni di piccole vite, di speranze e di partenze, di gioia e di magia. Suoni semplici come il nome “klezmer”. In yiddish vuol dire “strumento musicale”, “kley z’mer”. Strumento, e quindi mezzo che mette in relazione la storia, gli uomini, il divino. È il destino del mondo tradotto in note musicali. Sono violini, fisarmoniche, clarinetti, cimbali che si uniscono in alchimie straordinarie e potenti. Sono lamentazioni sinagogali languide e iterative che improvvisamente irrompono con trilli, percussioni e tonfi da saltimbanchi. È il sacro e il suo contrario. Sono loro, i “klezmorin”, gli artisti, l’accompagnamento alle cerimonie religiose e ai banchetti di nozze, la giustificazione per danzare in preghiera o per abbandonarsi in interminabili coreografie vigorose e profane. Musica che scorta la vita ebraica dell’Europa centrorientale, in ogni momento, dal XV secolo. Accompagnamento agli esodi centrifughi e continui di un popolo spinto a costanti migrazioni forzate. E’ la musica dei movimenti cabbalistici di primo ‘700 e della rivoluzione russa, è il suono degli “shtetl” e dei ghetti. E’ la voce delle grandi emigrazioni in America di primo novecento. Ed è proprio lì, che dopo le quarantene di Ellis Island, la musica “klezmer” saprà trasmettere quelle emozioni descritte da Tolstoj. Contaminerà generi e talenti. Sarà jazz e sarà country. Saranno i George Gershwin e i Benny Goodman. Sarà “blended” e tornerà in purezza quando nel XXI secolo ancora ci sarà bisogno della musica delle grandi occasioni di tutti i giorni.
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