29/05/2010
Venivano i brividi quando passavano loro. Puntuali esatti come lancette di un orologio diabolico che segna le ore della paura più che il trascorrere del tempo. Attraversavano Roma marciando con un ordine minuzioso da far sgomento, interrotto solo dal fragore del passo marziale e dall’angoscia generata dalla cadenza vorace del canto militare. Passavano ogni giorno di lì, da via Rasella, in pieno centro, tornando dall’esercitazioni di tiro al Foro Italico. E se ne fregavano dello status di “città aperta” del quale avrebbe dovuto godere Roma. Prepotenti nazisti. XI Compagnia, III Battaglione dell’ SS Polizei Regiment Bozen. Sarebbero stati loro l’obiettivo. I Gruppi di azione patriottica avrebbero voluto liberare i prigionieri della Gestapo ma non c’è strada. I tedeschi hanno sistemi di protezione infallibili. Allora si ripiega su quella colonna di soldati. Sì, li avrebbero fatti saltare in aria. Si sceglie una data evocativa: i venticinque anni della nascita del fascismo e fatalmente il 23 marzo del 1944 arriva anch’esso puntuale. Al passaggio del Reggimento, alle tre e mezzo del pomeriggio spaccate, la bomba compie il suo dovere e consegna all’inferno l’anima di 32 SS della Bozen. L’ira dei tedeschi diventa subito furia e in rapida escalation arriva fino a Berlino. “Cinquanta italiani per ogni tedesco morto e l’intero quartiere abbattuto” è la rappresaglia proposta immediatamente da un Hitler pazzo frenetico. Alle 8 arriva l’ordine: la bestia si accontenta di dieci contro uno. Il Feldmaresciallo Kesserling, comandante delle truppe del sud Europa, incarica il Comandante della Gestapo a Roma, Herbert Kappler, e il capitano Erich Priebke di organizzare la vendetta. Si razzola fra i condannati a morte già reclusi ma sono pochi. La lista cresce aggiungendo altri detenuti per reati comuni, ma non bastano. Allora si inseriscono gli ebrei. Rei di esistere, di esistere per l’appunto e ottimi componenti per la mattanza in fabbricazione. La mattina del 24 marzo 335 condannati vengono fatti salire sugli autocarri e trasportati in una vecchia cava di tufo appena fuori città sull’Ardeatina. Come furono uccisi è raccapricciante. Uno sull’altro con un colpo alla nuca. Costretti a salire su un monte di cadaveri per ricevere il colpo di grazia. L’ingresso della cava fu fatto saltare nel tentativo di sigillare quella piramide di corpi esanimi che ancora oggi invece, dopo 65 anni, abbiamo il dovere di tenere illuminati nella memoria.
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