16/12/2010
Ogni civiltà ha il suo stufato. Pare strano ma è così. Non c’è popolazione al mondo che non abbia fra i propri sapori tradizionali una pietanza che per essere preparata ha bisogno di bollire o meglio di sobbollire per ore e ore. Più si va verso nord e più il nostro stracotto è composto da ciccia e calorie, più si scende a sud e più spuntano pesci e verdurine. Ma il risultato non cambia: quello è il piatto della festa. Quello è il profumo solenne di un giorno speciale: che lo si dedichi a noi o lo si riservi a Lui. Fra gli ebrei dell’Europa Centrale ed Orientale il modo migliore per santificare lo Shabbat, oltre alle preghiere, è abbandonarsi alle delizie del “Cholent”. Uno stufatone di dimensioni “bibliche” e dai sapori delicati e antichi. Il nome pare che derivi dalle parole ebraico-occitane “chaud” e “lent”, caldo e lento, ma le interpretazioni sul “Cholent” e le sue origini sono le più fantasiose ed ogni paesino di quel pezzo di mondo si è appropriato, nel tempo, della paternità e dell’originalità della ricetta. Niente rappresenta la sacralità, la tradizione ed il rito ebraico quanto la laica preparazione e la cottura del Cholent. In quella serie di attenzioni e di manipolazioni c’è la devozione e la storia millenaria degli ebrei Ashkenaziti. La liturgia, mi si perdoni il riferimento religioso, inizia il pomeriggio del venerdì, quando i tegami di coccio cominciano a riempirsi di strati di meraviglie. Qualche ossino col midollo di stinco di manzo separeranno il fondo del tegame dal resto, dando umidità ed evitando che la carne si attacchi. Poi via ai vari livelli: bocconcini di spalla di manzo, collo d’oca ripieno di patate e cipolle, fagioli anche di un paio di tipi, patate a pezzettoni, prugne secche. Qualcuno – si dice i polacchi – mettano una fogliolina di alloro. Nessun condimento. Si sigilla il coperchio con un impasto di acqua e farina e si mette in forno a temperatura bassissima per ore e ore. La tradizione vuole che, quando il venerdì pomeriggio si spegnevano i fuochi dei fornai per festeggiare il Sabato, il Cholent si cuocesse col calore del forno che via via si raffreddava. E sobbolliva piano e al caldino per tutta la notte. Fino a quando, il sabato a mezzogiorno, dopo la funzione in sinagoga, gli uomini non andavano a ritirare il tegame per portarlo a casa caldo di forno e per consumarlo con la gioia e la lentezza dei giorni di festa e per confrontarlo con quello degli altri: sempre meno buono.
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