Golem. Il posto del Post

Giuseppe Burschtein

13/01/2012

Le strade che portano verso le periferie si somigliano ovunque. A New York come a Roma, a Londra come a Gerusalemme. I palazzi si diradano, le strade diventano più tortuose, i grandi negozi lasciano lo spazio alle botteghe e alle officine. Tutto diventa più minuto e rarefatto. Solo la luce, quella del sole, appare sempre più accesa, più forte, più bianca. Lasciata alle spalle la città vecchia, lì in cima ad una salita lieve in mezzo ad un candore catodico accecante e forse un po’ polveroso c’era la sede del Jerusalem Post, il giornale in lingua inglese che dagli anni ’30 parla del Medio Oriente da quella collinetta anonima intorno a Gerusalemme. Erano forse una decina d’anni fa e ci capitai un pomeriggio col direttore di un quotidiano italiano. Sam Schwartz, mi pare si chiamasse così, era il direttore delle nuove tecnologie del Post; si occupava di Internet altre diavolerie portatili, e ci aspettava per una chiacchierata informale sul futuro dei giornali. Un tipo simpatico di una quarantina d’anni, bassetto e coi capelli ricci e scarmigliati. Intorno a noi c’era un distillato di essenzialità. Essenziale l’abbigliamento, essenziale l’arredamento, essenziali gli oggetti. Un ambiente essenziale, non scarso o scarno. Fatto di quella essenzialità israeliana che ha a più a che fare con la sostanza e la concretezza che con l’estetica o la mera praticità. Alla parete dietro il vetro d’ingresso, raccolto come una reliquia, la copia della prima edizione del Palestine Post, come si chiamava il giornale quando fu fondato nel 1932. Sam mentre ci accompagna nella più avveniristica sala macchine dove risiedono gli archivi digitali di quel mondo, passa dalle strategie sul futuro dei media alle storie e gli aneddoti del Jerusalem Post. In una sala forse preposta alle riunioni di redazione, sopra un televisore poco fantascientifico, un primo piano di tre quarti del fondatore Gershon Agron. Giornalista americano di origini ucraine, sionista convinto e grande negoziatore con la Corona d’Inghilterra durante il mandato britannico in Palestina diventerà sindaco di Gerusalemme e giocherà un ruolo “essenziale” nelle relazioni di Israele con la comunità internazionale. Di stanza in stanza il Post è un succedersi continuo di passato e avvenire. Internet si accavalla ai caratteri di piombo. La Storia entra nel presente e modifica il futuro. È così Israele. È così ovunque, forse. Dalle finestre intanto si spegne il bianco che luccica e si accendono altre tinte. È Gerusalemme. Anche in periferia.

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