31/05/2012
Gli anni ’60 avvolgono New York come la lava calda di un vulcano che si spalma sulla valle. Non c’è cantuccio che venga risparmiato. Il futuro, da queste parti già diventato presente, profuma di lacca per capelli, di fòrmica, di zuppe in scatola e di dischi in vinile. Giù al Village, al Cedar Tavern, il progresso ha la fragranza dei “club sandwiches”, della marijuana, del sesso pronto al consumo, e della pittura ad olio. Gli “scapigliati” iconoclasti dell’espressionismo astratto si ritrovano lì. Frenetici, alcolici, eccentrici, creativi. Si chiamano Jackson Pollock, Willelm de Kooning, Robert Rauschemberg, Roy Lichtenstein, Andy Wharol. Tutti bravi, bravissimi. Innovativi, ribelli. Rivoluzionari. La loro pittura d’azione si mescola con le immagini di un mondo talmente vero da sembrare finto e col suo esatto contrario. Neodadaismo, arte popolare…ogni appellativo artistico non sarà altro che il tentativo futuro di canalizzare un’energia espressiva incontenibile. Sono tutti qui, insieme in questa New York che bolle. Dipingono, bevono, fumano, stravivono… Parlano mille lingue come tutti gli artisti; come tutti gli ebrei in questa parte di mondo. Tra gli effluvi di polpette e birra scura c’è una coppia raffinata e perfetta da sembrare un’illustrazione. Lui si chiama Leo Castelli. Porta il cognome della mamma. Ebreo triestino, figlio del banchiere ungherese Krauss, è un colto, intelligente, giramondo. Elegantissimo. Lei è Ileana Schapira. Si fa chiamare Sonnabend. Rumena, miliardaria, bellissima. Sono sposati e adorano l’arte. Sono già galleristi famosi. In Europa hanno già conquistato Parigi. A Manhattan da una decina d’anni, conducono la “Leo Castelli Gallery” sulla 77ma strada. E proprio al Cedar Tavern le loro vite si intrecceranno con la nuova estetica degli artisti newyorchesi e sarà amore assoluto. Anni e anni di attenzione e di business; di cultura e di mercato, fino quasi al XXI secolo, quando sarà pennellato l’ultimo tratto dell’esistenza del collezionista triestino. È così che Leo Castelli avrebbe inventato la “pop-art”, divenendo il più grande mercante d’arte di tutti i tempi. È così che un gruppo di giovani pittori ebrei, talenti bizzarri e dissoluti, avrebbe cambiato per sempre il corso della storia dell’arte.
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