11/09/2011
Vola Gretel, vola…gridavano le sue compagne, mentre la piccola Bergmann si concentrava per il salto della sua vita. Faceva caldo a Stoccarda in quel giugno del ’36, nella più ampia accezione della parola, e la qualificazione nel salto in alto per le Olimpiadi di Berlino non faceva altro che aggiungere calore a un clima sportivo ma soprattutto politico incendiario. Gretel Bergmann, con l’orgoglio della nazionale tedesca, rimise a posto il bavero bianco della maglietta, si toccò i capelli corvini in due o tre punti seguendo una routine precisa, prese la rincorsa e superò quel metro e sessanta che la separavano dal record del mondo e dalla celebrità. Seguirono due settimane di trionfi e poi la notorietà del primato venne spazzolata via dal ritiro della medaglia e dall’espulsione dalla squadra nazionale. Ebrea. E come tutti gli ebrei da quell’estate del ’36, aveva perso ogni diritto. Neppure quello di far guadagnare una sicura medaglia d’oro alla propria nazione. Fece i bagagli e nel ’37, ebbe la fortuna di trasferirsi a New York, dove riuscì a scampare agli orrori del nazismo e a immaginarsi una vita tutta da vivere con orgoglio. Di quella Germania non volle mantenere neppure il nome che, all’“Immigration Office” di Ellis Island divenne Margaret Lambert. Oggi ha 95 anni e lo sguardo intenso di allora, ma è accaduto un miracolo. La Federazione di Atletica tedesca ha voluto, con 73 anni di ritardo, riconoscerle quel titolo e oggi la signora Lambert è entrata ufficialmente nell’Olimpo che le spettava. Il Presidente della Federazione Theo Rhus ha fatto sapere che la Germania ha voluto compiere questo gesto simbolico non per riparare ad un danno che non è riparabile.
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