Essere felici ha un prezzo. I piccoli piaceri di Claire Chambers

Luigi Oliveto

03/06/2021

I “piccoli piaceri” cui allude il titolo del romanzo di Claire Chambers (Neri Pozza, traduzione di Massimo Ortelio) sono quelli che si concede Jean Swinney, una trentanovenne nubile che, nella Londra di fine anni Cinquanta, vive con una madre bisbetica e cura la rubrica di economia domestica su un giornale locale, il North Kent Echo. Quei piaceri sono davvero minimi: “la prima sigaretta della giornata, un bicchiere di sherry la domenica, una tavoletta di cioccolato, un libro fresco di stampa, i giacinti in fiore, il profumo della biancheria stirata, il suo giardino sotto la neve, un nuovo acquisto per il suo cassetto dei tesori…”. La vita di Claire avrà però una scossa dal giorno in cui l’Echo pubblica un breve articolo intitolato “I maschi non servono più per la riproduzione!”. Vi si parla di recenti studi sulla partenogenesi, di certi esperimenti effettuati su ricci di mare, rane e conigli che potrebbero applicarsi anche alla specie umana. Il giornale è sommerso da lettere cariche di sdegno, ma a spiazzare tutti è la lettera di una tale Gretchen Tilbury, la quale informa di avere partorito una bimba quando era ancora vergine. Precisa di averla concepita durante una degenza nella clinica St Cecilia di Broadstairs, dove era stata ricoverata diversi mesi per curarsi da una grave forma di artrite reumatoide, e – dettaglio non irrilevante – condividendo la camera con altre tre giovani donne, assistite da suore e infermiere. Al North Kent Echo viene deciso che a seguire il singolare caso sia Jean Swinney, unica donna della redazione. Un’occasione per lei, che ormai annoiata dal dare consigli alle lettrici su come smacchiare un vestito o pulire la canna fumaria, potrebbe fare un notevole colpo giornalistico, un salto di qualità nella sua attività professionale, magari trovando lavoro in una testata di ben altro prestigio. E magari uscendo dal grigiore della propria esistenza. Prende dunque a indagare, decisa nel voler scoprire se Gretchen Tilbury sia una impostora o il soggetto di un miracolo. Incontrerà la signora protagonista di quella nuova immacolata concezione, conoscerà la famiglia Gretchen, li frequenterà così assiduamente da stringere con loro un legame che sovvertirà molto la sua vita rutinaria. E quando la verità starà ormai per svelarsi (l’autrice è bravissima nel condurre la trama come fosse un giallo e serbare sul finale un vero coup de théâtre) per Jean si porrà il problema di considerare quale sia il prezzo che richiede quella verità. Tanto da chiedersi: “Si può perseguire la felicità o ci si deve accontentare dei piccoli piaceri quotidiani che la vita offre?”. Nei risvolti della domanda sta il succo della vicenda. Difficile è sapere scegliere tra una felicità conquistata a caro prezzo e il piacere, ancorché monotono, ricavabile dalle piccole cose.
 
***
 
L’articolo da cui nacque tutto non era neppure in prima pagina, solo un trafiletto a pagina 5, fra la pubblicità di una scuola di ballo e il congresso dei liberali di Crofton. Parlava dei progressi negli studi sulla partenogenesi: gli esperimenti compiuti su ricci di mare, rane e conigli facevano ipotizzare che la si potesse applicare anche all’uomo. Probabilmente i lettori del North Kent Echo non avrebbero nemmeno notato l’articoletto, se non fosse stato per il titolo a sensazione: «I maschi non servono più per la riproduzione!».
Il risultato fu un’abnorme quantità di lettere al direttore, in prevalenza indignate, e non solo da parte dei lettori di sesso maschile. La signora Beryl Diplock di St Paul’s Cray, per esempio, era indignata per lo spazio concesso a un assunto così deleterio e palesemente anticristiano, e molte lettrici paventavano che fornisse agli uomini un pretesto per sottrarsi al dovere di generare.
Ma una lettera spiccava fra tutte. Una certa Gretchen Tilbury, residente a Sidcup, al numero 7 di Burdett Road, affermava candidamente:
Egregio Direttore,
ho letto con grande interesse l’articolo «I maschi non servono più per la riproduzione!». Infatti, posso affermare che mia figlia, che oggi ha dieci anni, sia nata senza che nessun uomo fosse coinvolto. Se vuol saperne di più mi scriva pure.
La riunione di redazione – di solito una faccenda piuttosto monotona durante la quale si distribuivano i compiti e si passavano in rassegna errori e sviste delle edizioni precedenti – fu stranamente vivace.
Jean Swinney, responsabile delle rubriche di economia domestica e unica donna presente, sbirciò la lettera che passava di mano in mano. La calligrafia obliqua, il sette col taglio dell’indirizzo le ricordavano la scrittura della sua vecchia professoressa di francese. A tredici anni le era parsa di un’eleganza inarrivabile, e aveva iniziato a imitarla. Quando se n’era accorta sua madre le aveva intimato di smettere subito, neanche l’avesse sorpresa a scrivere col sangue! La signora Swinney era una donna all’antica e detestava tutto ciò che sapeva di esotico o forestiero.
Il pensiero della madre le rammentò che doveva passare a prendere le sue scarpe dal calzolaio. Era un altro dei misteri della signora Swinney: che se ne faceva di tutte quelle scarpe, se non usciva mai di casa? Jean doveva ricordarsi di comprare anche le sigarette, l’olio di menta da Rumsey’s, oltre al rognone e al lardo per preparare un pasticcio, invece della solita cena a base di uova «in qualche modo».
«Allora, chi va a intervistare Nostra Signora di Sidcup?» domandò Larry, il capocronista.
L’invito cadde nel vuoto, fra un gran stridore di sedie.
«Non è il mio genere» fece Bill, che curava la pagina sportiva e quella degli spettacoli.
Jean tese il braccio lentamente per prendere la lettera, tanto sapeva che sarebbe toccato a lei.
«Brava» disse Larry, esalando il fumo della sigaretta dalle narici. «In fondo è roba da donne».
«Ma è il caso di dar retta a questa svitata?» fece Bill.
«Non è detto che sia una svitata» ribatté Roy Drake, il direttore, in tono pacato.
Jean sorrise fra sé. Da ragazza, quando era entrata al giornale, aveva una gran soggezione del direttore, le veniva la tremarella ogni volta che la convocava nel suo ufficio. Ma poi aveva scoperto che Roy non era il tipo d’uomo che si diverte a terrorizzare i sottoposti, aveva quattro figlie e trattava sempre le donne con cortesia. Inoltre era impossibile avere soggezione di uno così trasandato nel vestire.
«Come no?» insistette Bill. «Non dirmi che credi nell’immacolata concezione».
«Non ci credo infatti, ma voglio capire perché ci crede la signora Tilbury».
«La lettera è ben scritta» disse Larry. «Concisa».
«È concisa perché è straniera» disse Jean, che fino a quel momento era rimasta in silenzio.
Tutti si voltarono verso di lei.
«Da noi è difficile che una donna abbia quella calligrafia. E poi, scusate, eh, “Gretchen”?»
«Ci vorrà una buona dose di tatto per affrontare l’argomento» fece Roy. «Per cui, mi pare evidente che dovrai andarci tu, Jean».
I colleghi annuirono uno dopo l’altro: nessuno era impaziente di soffiarle la storia.
«Comunque sono sicuro che, incontrandola di persona, ti accorgerai subito se è una millantatrice».
«Lasciatemi da solo con lei cinque minuti e vi dico se è vergine!» fece Larry e tutti scoppiarono a ridere. Dopo la battuta Larry si appoggiò allo schienale, incrociando le mani dietro la nuca, la trama della canottiera che s’intravedeva sotto la camicia.
«La signora non ha detto che è ancora vergine» osservò Bill. «Il fatto è accaduto dieci anni fa. Può darsi che si sia data da fare, nel frattempo».
«Jean non ha bisogno della vostra consulenza» tagliò corto Roy, che non amava quel tipo di discorsi. Se non fosse stato presente la conversazione avrebbe assunto toni ben più volgari; i suoi colleghi moderavano i termini per non offendere la pruderie del direttore, ma non si facevano scrupoli davanti a lei, dicendo che era come se fosse «una di loro». Jean si sforzava di prenderlo come un complimento, ma a volte, specie quando li sorprendeva a flirtare con donne più giovani e carine, tipo le segretarie, le veniva il dubbio che non lo fosse.
Trascorse il resto del pomeriggio dividendosi fra i “Consigli domestici” e la rassegna dei matrimoni della settimana precedente.
Dopo il rinfresco, il signore e la signora Plornish sono partiti per il viaggio di nozze, la sposa indossava un soprabito turchese con accessori neri…
La rubrica di “Consigli domestici” era un gioco da ragazzi perché si basava su rimedi e suggerimenti forniti dalle stesse lettrici. All’inizio, Jean era solita provarli prima di pubblicarli, ora invece si divertiva a scegliere i più stravaganti.
Poi si occupò della signora Tilbury. Dal momento che non aveva fornito un numero di telefono, le scrisse un biglietto per chiederle se potevano incontrarsi.
 
[da Piccoli piaceri di Claire Chambers, trad. di Massimo Ortelio, Neri Pozza, 2021]
 
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Luigi Oliveto

Luigi Oliveto

Giornalista, scrittore, saggista. Inizia giovanissimo l’attività pubblicistica su giornali e riviste scrivendo di letteratura, musica, tradizioni popolari. Filoni di interesse su cui, nel corso degli anni, pubblica numerosi libri tra cui: La grazia del dubbio (1990), La festa difficile (2001), Siena d’autore. Guida letteraria della città e delle sue terre (2004), Giosuè Carducci. Una vita da poeta (2011), Giovanni Pascoli. Il poeta delle cose (2012), Il giornale della domenica. Scritti brevi su libri, vita, passioni e altre inezie (2013), Il racconto del vivere. Luoghi, cose e persone nella Toscana di Carlo Cassola (2017). Cura la ristampa del libro di Luigi Sbaragli Claudio Tolomei. Umanista senese del Cinquecento (2016) ed è co-curatore dei volumi dedicati a Mario Luzi: Mi guarda Siena (2002) Toscana Mater (2004),...

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